venerdì 8 aprile 2011

L'Isola Gioiello di Bozcaada - Turchia

Bozcaada
Nessuna Urbanizzazione Selvaggia rovina il Paesaggio e la bellezza di Bozcaada, salvata da un piano regolatore rigido, che concede pochi permessi e per case di 80 metri quadri al massimo a un piano, fedeli all’architettura tradizionale. L’antica Tenedo cantata da Omero è celebre nella poesia epica perché durante la guerra di Troia i Greci vi ritirarono la flotta, per far credere ai nemici di aver abbandonato l’assedio, inducendoli così ad accogliere entro le mura il fatale cavallo di legno.
Il porto dell'isola
Il porto dell'isola
È una delle poche isole della Turchia: dopo la sconfitta nella Prima guerra mondiale, l’Impero ottomano fu privato di quasi tutte le isole nell’Egeo e nel Mediterraneo. Domina il porto la spettacolare fortezza ottomana sulla punta del capo che precipita in mare, racchiusa tra le mura possenti erette da Solimano il Magnifico. Nel piccolo museo si conservano anfore e capitelli corinzi recuperati nelle acque dei Dardanelli. Si ormeggia presso la gettata di cemento, rifugio dei caicchi da pesca. Ma Bozcaada è un piccolo paradiso soprattutto per le spiagge: le più spettacolari sono lungo la costa meridionale. Di sabbia e sassi come l’Ayana, affacciate su acque dai riflessi caraibici come Ayazma dominata dal monastero greco, attrezzate con Sdraio e ombrelloni come Habbele. Ancora più affascinante la solitaria caletta di Ariana, circa 30 minuti a piedi dal villaggio. Attorno al porto, si affacciano alberghi in Stile e Ristoranti riforniti ogni giorno dalle barche da pesca. Il più suggestivo è Marti Restaurant Café, che ha pochi tavolini in riva al mare, sullo sfondo della fortezza illuminata di Notte. Protagonista dei piatti e dell’infinità di mezé, gli antipasti, il pesce, dai calamari ai branzini. Salkum, facciata affrescata con grappoli d’uva in una vecchia stradina, offre piatti locali. Sul porticciolo, Sehir serve pesce ai tavolini in riva al mare. Lo stile dell’isola si ritrova negli hotel di charme, antiche dimore ristrutturate. Come il Kaikias, insospettabile in un’isola sperduta, affrescato con scene tratte dalla mitologia greca. Volte, letti a baldacchino, pezzi di antiquariato, una collezione di libri antichi di storia della Chiesa ortodossa. E copie di gioielli troiani, venduti come souvenir.
Il Marti Restaurant Café
Il Marti Restaurant Café
Era la vecchia scuola del paese, invece, l’hotel Ege, dall’aria vecchia, su un giardino dove si fa colazione. In una Stradina lastricata in pietra, una casa fine Ottocento dalla facciata azzurro polvere ospita il Rengigul Konukevi, un po’ troppo zeppo di oggetti e decori (quadri di famiglia, bambole, cappelli, lettere d’epoca, kilim, ricami), qualche caduta di gusto nei tessuti, ma un lussureggiante giardino con grandi tavoli per il breakfast, ottimo. La padrona è proprietaria anche di una galleria d’arte. Ma il posto più romantico è sull’incantevole Aquarium Bay. Purché si accetti di dormire in stanze Spartane alla luce di lanterne e candele. In cambio l’Akvaryum Pansyon, sei camere in un Edificio bianco con persiane blu, proprietà di un istruttore di diving e di una biologa marina, unica costruzione della zona, offre l’impagabile piacere di una baia solitaria; e passeggiate alle grotte, bagni nelle piscine naturali color turchese, a pochi metri, immersioni in fondali ricchissimi. 


Situata vicino all'ingresso dello Stretto dei Dardanelli, è una piccola isola anche nota come Tenedos. Chiamata "the windy island", l'isola ventosa perchè di giorno è perennemente sferzata dai venti che calano appena il sole tramonta.
Il paesino principale, dove attracca in traghetto, ospita una bellissima fortezza veneziana ed offre numerosi e caratteristici ristorantini di pesce. Il mare è ovunque azzurro e limpido. L'isola è famosa anche per l'ottima produzione di Vino fra cui il Cabernet.

Volete vedere una Turchia diversa, completamente fuori dai tour turistici? Quella per intenderci fatta di sacco sulle spalle, scarpe comode, un bel cappello in testa per ripararsi dal sole (se si è in estate), la bottiglie dell’acqua sempre appresso e magari un paio di pani da riempire con doner-kebap? L’occasione buona, allora, è quella di visitare due isole, non lontane le une dalle altre, le uniche che la Turchia possiede dal momento che –dopo la sconfitta nella I° Guerra Mondiale – l’Impero ottomano – fu privato di tutta la cosiddetta <piattaforma continentale> tanto nel Mar Egeo che in quello Mediterraneo. Si chiamamo Gokçeada e Bozcaada e fronteggiano i Dardanelli. Dal punto di vista storico-culturale c’è ben poco da ammirare ma a supplire questa mancanza è la natura rimasta incontaminata. Questo perché fino al 1987 le isole in questione erano off-limits in quanto sotto controllo militare. Poi, da quell’anno la revoca, anche se tuttora occorre sempre il rilascio di una specie di nullaosta per imbarcarsi, da Kanakkale e da Odunluk, rispettivamente alla volta delle antiche Imbros e Tenedos. Cominciamo Da Gokçeade.E’ l’isola più grande misurando 13 km da nord a sud e circa 30 km da est a ovest. Come scrive <Edt- Lonely Planet>, durante il conflitto del ’15-18 fu una importante base della campagna di Gallipoli in quanto il comandante degli Alleati, generale Ian Halmilton, si era stanziato con i suoi uomini nel villaggio di Aydincik, un tempo chiamato Kefalos. Ad abitare a Gokçeada – dove secondo Omero Poseidone aveva nascosto le sue mitiche scuderie – sono appena 7.000 anime che vivono di pesca e coltivando quel poco che di fertile si può utilizzare. Qui è tutto selvaggio, a cominciare dai villaggi molti dei quali abbandonati. La gente è cordialissima tanto che sembra di tornare indietro nel tempo. Nessuna malizia nei volti di uomini e donne che conducono una vita patriarcale senza stimoli affaristici. Per girare l’isola, dato che i dolmus sono piuttosto scarsi, conviene affittare una macchina o una motocicletta e puntare subito in direzione delle belle spiagge di Kalekoy e di Ugurlu oppure spingersi ancora più in là per ammirare il selvaggio di zone ancor meno conosciute come Kapikaya, Kokina e Yuvali. Riporta <Edt- Lonely Planet>: "Sui fianchi delle colline che sovrastano la valle centrale dell’isola sorgono i Villaggi greci di Zeytinli, Tepekoy e Durekoy, tutti costruiti in questa posizione per proteggere gli abitanti dalle incursioni e dai saccheggi dei pirati. Oggi molte case abbandonate stanno cadendo in rovina e le chiese hanno mantenuto un certo fascino e possiedono caffetterie dove può essere interessante fermarsi un po’. Il tratto di costa tra Kuzu Limani e Kalekoy è stato dichiarato <Parco marino>, quindi è zona protetta". Ai primi di luglio Gokceada fa da suggestivo sfondo alla <Festa delle uova> (Yumurta Panayiri). E’ una ricorrenza greca. Non va dimenticato, infatti, che fino ai primi anni settanta l’isola era ancora abitata dai greci che preferirono poi andarsene via dopo lo scoppio dei contrasti tra Ankara ed Atene per la questione di Cipro. In occasione della festa ogni anno sono molti i greci che ritornano sull’isola. Non vi manca mai il metropolita ortodosso di Istanbul. L’isola di Bozcaada si trova più a sud, quasi di fronte a Kumburum, al largo della costa della Triade. Si chiamava Tenedos. E’ celebre nella poesia epica greca perché durante la guerra di Troia i Greci vi ritirarono la flotta, allo scopo di far credere ai Troiani di aver abbandonato l’assedio e di essere sulla via del ritorno verso la Grecia, inducendoli così ad accogliere entro le mura della città il celebre cavallo di legno. Il nome Tenedos viene da Tenes, figlio di Cicno e di Prolea e fratello di Emitea. Era stato amato dalla seconda moglie di suo padre, Filonome: vedendosi respinta, questa non esitò a denunciarlo a Cicno. Il padre allora chiuse Tenes e la sorella di lui in una cesta e gettò entrambi in mare; trasportata dai flutti, la cesta fu alla fine abbandonata sulle rive dell’isola di Lucofride, i cui abitanti, dopo aver salvato Tenes, lo elessero a proprio re. Da allora l’isola, dal suo nome, venne chiamata Tenedos. Bozcaada è più piccola di Gokçeada e mostra una maggiore vivacità grazie ai produttivi vigneti che danno uno dei migliori vini di Turchia (Ataol, Talay e Yunatçillar). Si gira a piedi lungo il perimetro dell’isola fra falesie bianche o ci si può accontentare di distendersi sulla bella spiaggia di Ayazma dove si trovano diversi caffè e un monastero greco, a circa 5 km dal porto, sulla costa meridionale. Ancora più affascinante la solitaria caletta di Ariana, circa 30 minuti a piedi più lontano. Famosa per i suoi soldati, Bozcaada ha come unico sito turistico una enorme fortezza. 




l’isola del Cabernet

 

Bozcaada mare 620x351 TURCHIA Bozcaada, lisola del Cabernet
Turchia: il mare di Bozcaada

Raggiungere Bozcaada quando il buio l’ha già abbracciata, è il momento migliore per innamorarsene. Le luci che provengono dal piccolo porto e dalla fortezza la incorniciano rendendola ancora più misteriosa. Il traghetto che parte da Yükyeri İskelesi, circa 60 chilometri a sud-ovest di Çanakkale, va atteso al porto dove si fanno anche i biglietti. Non si sa a che ora possa partire, bisogna aspettare pazienti e fiduciosi. La piccola isola dalla forma triangolare un tempo era conosciuta come Tenedos, in onore di Tene, che la governò al tempo della guerra di Troia e che venne ucciso da Achille. Successivamente, nel periodo ottomano, i veneziani attribuirono all’isola un’importanza strategica tale da ripopolarla e costruirvi un’imponente fortezza. Colei che ancora

fortezza veneziana 300x225 TURCHIA Bozcaada, lisola del Cabernet

Turchia. Bozcaada: la fortezza veneziana
oggi, grazie alle sue perfette condizioni, dà il benvenuto al viaggiatore. L’unico paese dell’isola è Bozcaada o Kale (castello). Piccolo e grazioso, assomiglia moltissimo ad uno dei tipici paesi greci, poco distanti in linea d’aria. Allegre taverne dove degustare pesce fresco, colorati locali per fare la tipica ed abbondante colazione turca, mercatini serali per curiosare e fare qualche acquisto. Non è un luogo facile da raggiungere, anche per chi si muove in auto come me, tuttavia è un piccolo paradiso, lontano dalle affollate spiagge della costa turchese. Bianche spiagge e mare ceruleo sono disturbate, solo nelle ore diurne però, da un forte vento che soffia durante tutto l’anno. La prima volta che ci andai venni avvicinata, mentre ero al porto in attesa del traghetto, da un signore piuttosto meravigliato di vedere uno straniero e che sulla macchina esibiva un curioso adesivo “Life is a Cabernet”. Mi raccontò che l’isola era più che altro meta balneare per gli abitanti di Istanbul e luogo d’interesse per i sommelier, che ogni anno a giugno vi si recano per degustare la nuova produzione del rinomato Cabernet. Nonostante siano da sempre state coltivate le viti, per lungo
Bozcaada tramonto 300x225 TURCHIA Bozcaada, lisola del Cabernet
Turchia. Tramonto a Bozcaada

tempo i turchi non si sono occupati di vino per le regole religiose cui si attengono. Nella prima metà del 1900, però, iniziarono ad  interessarsi alla viticultura, tra gli anni ‘60 ed ‘80 questa tradizione crebbe e sull’isola si potevano contare tredici produttori. Quella della viticoltura è un’arte che viene insegnata fin da piccoli e, virtualmente, non c’è nessun adulto che non sia in grado di attuarla. La regola fondamentale da seguire, dicono qui, è quella di prendersi cura delle viti lungo tutto l’anno. I ceppi che germogliano a primavera e si trasformano in fiori delicati, gli acini che maturano sotto il caldo sole estivo, il profumo dei grappoli ormai raccolti in ceste durante la vendemmia che si diffonde per le strade, fino ad ottenere un vino corposo dal gusto rotondo. Piacevole da bere non solo per il suo buon sapore ma perché è parte dell’isola stessa, i cui abitanti amano ogni grappolo d’uva come fosse parte di un prezioso tesoro.

Isola Di Bozcaada - Turchia - La cartina Geografica

Vacanze in Turchia nella Zona degli Scavi della città di Troia

Troia, la città di Omero sulla costa Egea della Turchia


Troia è una città che conta più di 4.000 anni di storia, ed conosciuta come un importante centro di antiche civiltà. Per molti anni si ritenne che la città fosse una semplice leggenda e fosse stata solo menzionata in racconti epici come quelli di Omero, ritenuti privi di un fondamento di realtà. Quando nel 1872 l’archeologo Heinrich Schliemann annunciò la scoperta dei resti della città di Omero il mondo fu pervaso da un brivido di eccitazione.

Troia (Truva in turco) è situata nella provincia Hisarlik, non distante da Canakkale sullo stretto dei Dardanelli, dove è possibile visitare i resti di una grande città del passato. Per raggiungere Troia si devono percorrere i 30 km che la separano da Canakkale seguendo la stada Izmir-Canakkale-Yolu in direzione sud. Presso il villaggio di Gokcali si lascia la strada principale in direzione ovest e si raggiungono gli scavi di Troia, situati tra i villaggi di Ciplak, Kalafat e Tevfikiye. 



Il periodo migliore per visitare gli scavi di troia è la fine della primavera e l’autunno, quando le temperature non ancora torride consentono di passeggiare tra gli scavi senza soffrire per il gran caldo. Le massime in luglio ed agosto raggiungono di media i 30 °C con minime tra i 18-20 °C, mentre il periodo più piovoso è quello compreso tra novembre e marzo, con gennaio che rappresenta il mese più fresco con massime in genere comprese tra gli 8 e i 10 °C-


Cosa si può vedere a Troia?
Il metodo poco ortodosso di scavo dello Schliemann, pur provocando danni ebbe il merito di scoprire che Troia fosse composta da almeno 9 città diverse, che si sono succedute tra rovine e rinascite in un percorso lunghissimo ed affascinante. Certo l’archeologo Tedesco fece una importantissima scoperta, ma la limpidezza della sua opera rimane macchiata dal furto del celebre tesoro di Priamo, che Heinrich Schliemann scoprì l’ultimo giorno della sua campagna archeologica e che trafugò in Germania.


Troia appare nella letteratura greca e latina. Omero la menziona per la prima volta nella storia all’interno delle sue grandi operr, l’Iliade e l’Odissea. Ileum è infatti in nome latino di Troia, che viene poi ripreso da Virgilio che nella sua Eneide racconta della distruzione di Troia e delle fuga di Enea, figlio di Priamo, unico sopravvissuto della famiglia di Priamo e fondatore della civiltà romana. Il racconto dell’inganno di Ulisse con il cavallo di legno che scardine le difese della città è diventato una metafora universale dell’astuzia e della furbizia dell’uomo.




Ciò che invece gli scavi raccontano, è che Troia, durante l’età del bronzo, ebbe un grande potere a causa della sua posizione strategica al confine tra Europa e Asia. Le rovine di Troia furono trovaei prima di Charles McLaren nel 1822 ma ad Heinrich Schliemann va i lmerito di avere attribuito la giusta corrispondenza dei resti alla mitica città di Omero.
Alla fine gli scavi hanno identificato nove livelli di Troia:


• I livello che risale al 3000 a.C. ed è un villaggio neolitico, con abitazioni dalla struttura elementare
• II livello è compreso tra il 2500 e 2000 a.C. ed è una piccola città con mura contraddistinte da enormi porte, e con un megaron (palazzo reale). Schliemann credeva fosse la città distrutta dagli Achei
• III - IV - V livelli sono databili tra il (2000 e il1500 a.C.): tre villaggi distrutti ognuno poco tempo dopo la loro fondazione
• VI livello corrisponde al periodo 1500 - 1250 a.C.: ed è una vasta città a topografia ellittica, disposta su terrazze giustapposte, con mura imponenti, assemblate da enormi blocchi di pietra levigati e squadrati, dotate di porte e torri. Fu forse distrutta da un terremoto.
• Il VII livello (1250 - 1200 a.C. ): segna la rinascita della città precedente, ma anche una repentina distruzione: le tracce di un incendio fanno attribuire a questa città la corrispondente della Troia di Omero
• VIII livello (VII secolo a.C.): una semplice colonia greca , senza fortificazioni
• IX livello (dall'età romana al IV secolo): corrisponde a costruzioni romane costruite sulla cima spianata della collina.


Il sito attuale è visitabile a pagamento, con orario che va dalle 8 del mattino alle 5 del pomeriggio. All’interno degli scavi un enorme cavallo di legno cattura l’attenzione dei turisti, e se non siete davvero appassionati di archeologia è forse questa l’attrazione che più vi colpirà della visita del sito, assieme alle possenti mura che testimoniano della grandezza, effimera, della città.


Yenikoy : Cittadina turca sul Mare nei Pressi degli Scavi di Troia

Ancora Yenikoy in una Cartolina D'Epoca

Cittadina di Yali - Turchia
Yali Turchia - nei Pressi degli Scavi di Troia

Yali - Turchia - La Spiaggia
Yali - la Spiaggia - Ottima Base per Visitare gli Scavi Archeologici
Yali - le particolari Costruzioni in Legno






Yenikoy - la Zona Povera della Città
Yenikoy - Turchia - La Chiesa




Il Link di Google Maps/Turchia per Rendervi conto delle Distanze

 Il Sito di informazioni a Cura Dell' Ambasciata Turca - Completamente in Italiano
Pagina Web Per I Pernottamenti a Yenikoy


Iskanderun












 


Storia precristiana:

La città di Iskenderun sembra che si debba identificare con Alessandria ad Issum, città fenicia di Miriandro. A circa 37 km da essa, nella piana d'Isso, Alessandro Magno riportò una famosa vittoria contro Dario III (333 a.C.). La battaglia che contrappose l'esercito macedone alla «grande armata» persiana, fu vinta grazie alla solidità della fanteria macedone ed all'intelligente impiego della cavalleria da parte di Alessandro. A seguito della vittoria ottenuta questi fondò nuovamente la città dandole il proprio nome: Alessandria ad Issum o Scabiosa (montagnosa). Nell'intenzione del rè macedone, essa — a motivo della sua posizione favorevole — doveva attirare il commercio delle grandi carovane della Mesopotamia. Tuttavia la scelta successiva dei Seleucidi di rendere capitale del loro regno Antiochia e come porto di essa Seleucia Pieria, ridussero l'importanza di Alessandria.
Prima di partire per la guerra contro i Giudei, conclusasi con l'espugnazione di Gerusalemme (70 d.C.), l'imperatore Tito venne qui per assumere il comando di due legioni che lo attendevano.
I primordi del cristianesimo in città
In questa città si eresse un episcopato ma abbiamo a disposizione solo il nome di pochi vescovi. Nella Cronaca di Dionigi di Telmahar si trova la menzione di un ignoto vescovo di Alexandria parva (piccola Alessandria), vissuto attorno al 200. Nel III secolo d.C. la città viene distrutta dai Persiani. Significativo il fatto che il primo vescovo conosciuto, Esichio di Alessandria Minore, compaia nella lista dei 9 vescovi di Cilicia presenti al concilio di Nicea (325). Questo numero, congiunto alle testimonianze d'un episcopato di campagna (corepiscopato), relativamente diffuso, portano a concludere che nella regione il cristianesimo, già agli inizi del IV secolo, dovette trovare una notevole espansione. Ancora alla seconda metà del VI secolo la Chiesa di Alessandretta risulta inclusa nella provincia della Cilicia Seconda. Il nome di Ìskenderun, con il quale attualmente viene denominata, risale all'epoca della conquista da parte degli arabi, avvenuta nel VII secolo. Agli inizi del X secolo, però, la diocesi non esiste più suppur tuttavia il cristianesimo continua ad vivere nella città, seppur sembra avere Antiochia come centro di riferimento. Non dobbiamo poi scordare che dalla fine dell'XI secolo a quella del XIII la città si trova sotto il Principato Crociato di Antiochia. In questà città fino all'annessione alla Turchia si trovavano insieme diverse delle confessioni cristiane: cattolici, ortodossi, siriani, armeni, protestanti ecc. Basta vedere le numerose chiese e scuole cristiane che vi erano in città alla pagina "cristiani".
La rinascita civile e cristiana della città nel XIX secolo

 
Il XIX secolo fu un rigogliere di chiese e scuole cristiane che venivano costruite nella città a mano a mano che andava crescendo il numero dei cristiani. La loro presenza vide però un brutto calo con la Prima Guerra Mondiale.(la storia di questi edifici si può leggere in dettaglio nelle altre pagine).
Coll'annessione alla Turchia (1939) venne fatto chiudere subito il Colleggio dei Fratelli delle Scuole Cristiane e trasformato in scuola statale.
 
Si è notato che questi credenti portano delle maschere speciali quando sono in aereo o in autubus ermeticamente chiuse. Questo perché l'aria che esce dai polmoni di un non credente non sfiorerà i polmoni di un "Credente" che viaggia con lui. Lo stesso per le trasfusioni di sangue utilizzano il sangue donato da un Credente. I rilievi scientifici quali l'Rh+ o Rh- non sono assolutamente validi ne necessari in questi casi. La fede è la loro protezione. Alessandretta oggi conta circai 200.000 abitanti.

Isola di Panarea - Sicilia : I Video e La Cartina Geografica









Isola di Panarea - Sicilia - L'Articolo








Panarea è l’isola più piccola dell’arcipelago, ed è attorniata da numerosi isolotti satellite come Basiluzzo, Lisca Bianca, e le Formiche.
 


Deve il suo nome alla morfologia (tutta sconnessa) anche se anticamente veniva denominata Euonymos “che sta a sinistra” per i naviganti provenienti da Lipari e diretti verso la Sicilia.
Isola tranquilla, lontana dai clamori della città tanto che la circolazione è stata interdetta alle autovetture, è dominata dalle stradine strette, dai tetti delle basse casette e dalle colorate bouganville che contrastano con l’azzurro accecante del mare.
Molti turisti ed avventori, colpiti dalla bellezza dell’isola, hanno nel tempo acquistato e ristrutturato i vecchi ruderi, costruiti esclusivamente con materiali reperibili sull’isola e caratterizzati da pareti rustiche senza intonaco per mimetizzarsi agli occhi dei pirati che infestavano le acque circostanti.
Si sbarca al porto della contrada di San Pietro, un borgo di bianche casette immerse nella vegetazione e proseguendo verso sud l’importante villaggio preistorico di Cala Junco, dove sono state ritrovate ventitrè capanne ovali in pietra risalenti all’età del Bronzo (1400 a.C.) insieme a vasellame, ceramiche, macine, mortai e pentole abbandonati come se gli abitanti dell’epoca fossero stati assaliti all’improvviso.
Al di là di Cala Junco si giunge a Drautto dove si possono ammirare grandi formazioni rocciose dette “Spine”, resti di colate laviche. Si volge così a Cala degli Zimmari per poter raggiungere in seguito il promontorio di Capo Milazzesa.
L’isola di Panarea e il piccolo arcipelago che la circonda sono la testimonianza dell’importante attività vulcanica delle numerose bocche eruttive oramai sommerse per la maggior parte. Lisca Bianca dà il nome alla sua splendida spiaggia circondata dalla roccia, frutto dell’azione delle fumarole, bolle gassose o solforose attive da millenni, ancora oggi visibili sott’acqua nell’area compresa tra Dattilo, Bottare e la stessa Lisca Bianca.
Di sicuro interesse sono lo scoglio inaccessibile di Spinazzola che ospita una colonia di rarissime palme nane e l’isola di Basiluzzo che si presenta come una cupola con pareti a picco sul mare. Qui le rocce assumono infatti le forme più strane e bizzarre e si scorgono i differenti strati di colate laviche: le bande chiare delle più recenti si alternano con quelle più scure composte di ossidiana sicuramente più antiche, esiste un unico approdo naturale da cui parte un sentiero che conduce ai resti di una villa romana appartenente ad un ricco signore dell’epoca. Oggi l’isola è disabitata ma per molti anni questa isola venne adibita alla coltivazione dei cereali.
Circumnavigando Panarea si supera lo scalo di Iditella e la spiaggia della calcara, si incontrano Punta Palisi, la Grotta del Tabacco ed infine il paradiso dei sub, lo Scoglio Pietra la Nave, resti di un antico cratere. Si giunge poi a Punta Scritta per cui la tradizione tramanda vi fossero iscrizioni, forse di pirati Saraceni.
Si susseguono tra colate laviche e prismi basaltici Punta Muzza caratteristica per l’imponente parete del Capraio, a seguire l’emozionante Cala Junco, Cala del Morto, la caletta degli Zimmari affollata dal turismo specialmente in agosto, l’insenatura di Drautto, Punta Torione, Punta Peppe Maria per ritornare nuovamente al porto di San Pietro.


Panarea è la più piccola delle Isole Eolie, ma contra fra i vulcani potenzialmente attivi dell'arcipelago. Considerata fino a recentemente un vulcano "estinto", si hanno ora dei dati che indicano un vulcanismo molto più giovane, possibilmente di età olocenica. Inoltre esiste, nella zona degli isolotti e scogli ad est di Panarea, una zona di attive fumarole sottomarine, conosciuta già all'epoca greco-romana, e luogo di uno spettacolare aumento delle emissioni gassose nell'autunno 2002.
Panarea fa parte di un grande apparato vulcanico per lo più sommerso, di cui la porzione emersa, comprensiva degli scogli di Dattilo, Basiluzzo, Lisca Bianca e Lisca Nera, rappresenta solamente l’orlo di una depressione vulcano-tettonica di forma ellittica con asse maggiore orientato E-O. Questa struttura vulcanica si estende complessivamente per 460 km2, sollevandosi da una profondità di 1000 m circa; la porzione emersa, profondamente interessata dai processi di modellamento operati dall’erosione superficiale e dalla tettonica, si presenta molto aspra nei versanti occidentali e settentrionali per la presenza di ripide falesie, mentre in quelli meridionali ed orientali è possibile notare la presenza di tre terrazzi marini testimonianti sia l’azione erosiva operata dal mare, sia il sollevamento relativo avvenuto in successivi stadi

Isola di Panarea

L'isola di Panarea è la più piccola delle sette isole dell'arcipelago siciliano delle Eolie. A differenza delle altre isole, che sono piuttosto tranquille e poco mondane, l'isola di Panarea è frequentatissima soprattutto dai giovani, che la scelgono come meta ideale per il divertimento estivo. Ogni giorno, infatti, è possibile trovare feste in barca e la sera ci sono molti luoghi in cui far festa fino a mattina. Panarea, anticamente, era molto più grande, poi una parte di essa è sprofondata in seguito ad un'eruzione vulcanica, che ha formato una serie di isolotti staccati fra di loro.

Come arrivare

L'isola di Panarea è raggiungibile con aliscafi da Milazzo, Messina, Reggio Calabria, Palermo e Napoli, e navi da Milazzo e da Napoli.

Cosa vedere

Dal momento che sull'isola non è permesso portare il proprio mezzo di trasporto, ci si può spostare con i taxi elettrici o affittando una barca. Una parte dell'isola presenta delle spiagge piccole, una delle quali è la più bella spiaggia di sabbia delle Eolie, mentre l'alto lato è caratterizzato da coste frastagliate, con alte scogliere a picco sul mare. Panarea ha una ricca vegetazione, ricca di fichi d’India, lentisco, agavi, ginestre, capperi e piante di olivi secolari ed una fauna che vanta la presenza di falchi della regina, corvi, qualche cormorano e gabbiani reali. Panarea si gira facilmente perchè èmolto piccola e la sua architettura è quella del tipico stile eoliano. L'isola è abbastanza tranquilla, ma a luglio ed agosto è la eta dei giovani che vogliono divertirsi: a Panarea infatti c'è una delle discoteche più famose di tutto il mediterraneo.









L’ Isola di Panarea è la più piccola (3,4 km²) e la meno elevata delle Isole Eolie ( 421 metri nella sua maggiore elevazione, il Timpone del Corvo) e con gli isolotti di Basiluzzo , Spinazzola, Lisca Bianca , Dattilo, Bottaro, Lisca Nera e gli scogli dei Panarelli e delle Formiche, forma un piccolo arcipelago fra Lipari e Stromboli posto su un unico basamento sottomarino. L’approdo più importante e scalo commerciale e turistico è nella località San Pietro, la principale contrada dove si concentra l’odierno abitato. Le altre contrade sono Ditella (o Iditella) a nord-est e Drautto, a sud-ovest. Dal punto di vista geologico Panarea è la più antica isola delle Eolie, con gli isolotti circostanti quel che resta di fenomeni eruttivi di un unico bacino vulcanico , oramai quasi del tutto sommerso ed eroso dal mare e dal vento.
Divisa nel senso della lunghezza da un’elevata dorsale, rimane soltanto la parte orientale e meridionale dell’isola originaria, con coste relativamente limitate in altezza, caratterizzate da piccole spiagge e vaste zone pianeggianti, anticamente coltivate a vigne ed oliveti e di cui ancora oggi si notano i terrazzamenti che erano adibiti alle colture, oramai abbandonate. Il lato occidentale e settentrionale è caratterizzato da alte coste inaccessibili e molto frastagliate, un continuo succedersi di terrazzamenti, crepacci e suggestive formazioni di lava solidificata. Il condotto principale dell’originario complesso vulcanico è situato all’incirca nel tratto di mare compreso tra lo scoglio La Nave e lo scoglio Cacatu. Sempre dal mare, sulla costa occidentale (Cala Bianca), sono invece visibili i resti di un camino vulcanico secondario dalla forma di grosso imbuto. Sul lato nord-est dell’isola, sulla spiaggia della Calcara è tuttora possibile scorgere fumarole di vapori che si levano dalle fessure fra le rocce (dai suggestivi colori sulfurei ), ultime tracce di attività vulcanica con temperature fino ai 100°C . In alcuni punti fra i ciottoli in riva al mare, per effetto di queste sorgenti di calore, l’acqua ribolle fino ad essere ustionante. Altri fenomeni eruttivi subacquei (recentemente alla ribalta della cronaca per un’improvvisa aumentata attività) sono evidenti nel ribollire delle acque fra l’isolotto di Bottaro e Lisca Bianca. Non sono invece più identificabili le sorgenti termali segnalate sulla carta poco a nord della punta Peppe Maria “cementificate” (vedi oltre) dal “lungomare” costruito negli anni ottanta . Flora e fauna La macchia mediterranea di Panarea presenta fico d’India ( Opuntia ficus indica ) , lentisco ( Pistacia lentiscus ) , ginestra ( Spartium junceum ), cappero ( Capparis spinosa ) e piante di olivo ( Olea europaea ) secolari, resti dell’antica vocazione agricola dell’isola (scomparsi i vigneti che esistevano fino agli anni settanta ). La vegetazione originaria è poi contaminata da molte specie vegetali esogene, arrivate con il boom edilizio e turistico. Per quanto riguarda la fauna è presente il falco della regina ( Falco eleonorae ) , il corvo ( Corvus corax ) , qualche marangone( Phalacrocorax carbo ) e il gabbiano reale ( Larus argentatus ) che nidificano sulle inaccessibili pareti delle coste occidentali. Caratterizza la fauna isolana il geco ( Tarentola mauritanica ) , innocuo e utilissimo predatore di insetti. Storia Panarea fu abitata già in epoca preistorica come testimonia il villaggio dell’ età del Bronzo ( XIV secolo a.C. ) sul promontorio del milazzese , a sud-ovest dell’isola. La particolare posizione del pianoro, proteso verso il mare e protetto da alte pareti a dirupo sul mare – dunque facilmente difendibile – ne fece un luogo ideale per l’insediamento: nel villaggio, di cui sono visibili e visitabili i resti di una ventina di capanne, sono stati ritrovati materiali d’origine micenea , a testimonianza del ruolo svolto, anche in antichità, dall’arcipelago eoliano, al centro delle principali rotte commerciali del Mar Mediterraneo . Nell’antichità si ritrovano diversi nomi per Panarea: Euonymos (che sta a sinistra, andando da Lipari verso la Sicilia ) e Hycesia (la supplice). Poi è apparso Panaraion (la distrutta) per passare poi a Pagnaria (la maledetta), quindi a Panaria ed infine a Panarea. Per il resto Panarea condivide la storia delle altre isole Eolie ed in particolare di Lipari. Abitate fin dal neolitico , nel periodo fra il VII e il VI secolo a.C. le isole furono preda di continue scorrerie etrusche fino a quando quest’ultimi non vennero sostituiti dalla colonizzazione greca . Nel 264 a.C. Lipari è alleata di Cartagine e le isole devono quindi subire i continui attacchi della flotta romana. Nel 252 a.C. Lipari e le sue isole passeranno sotto il dominio romano . Ne sono prova i resti di una villa romana sulla difficilmente accessibile sommità dell’isolotto di Basiluzzo, proprietà di un eccentrico possidente romano, evidentemente amante dell’asprezza e bellezza dei panorami panarellesi. Con la caduta dell’ Impero romano inizia un periodo di decadenza che aumenta con la dominazione bizantina e diviene ancor più rapida con l’inizio dell’occupazione araba ( 827 / 1061 ). Con l’avvento dei Normanni ricominciò lo sviluppo economico e demografico delle isole ( 1340 - 1544 circa). A metà del 1500 infatti gli arabi ricominciarono a insidiare le isole (ne resta traccia nella toponomastica isolana nella baia e relativa contrada di Drautto, dal nome del pirata Drauth . Per le scorrerie della pirateria arabo-turca l’isola rimase pressoché disabitata, gli abitanti infatti non superavano il centinaio. Verso la fine del XVII secolo i contadini di Lipari ripresero a coltivarla (senza portarvici però donne e bambini, per via del pericolo delle scorrerie piratesche). È significativo come sopra il villaggio preistorico di Cala Junco esista il “Castello del Salvamento” (nella toponomastica eoliana “castello” sta per pinnacolo roccioso di notevole altezza), usato appunto come provvidenziale rifugio degli abitanti durante queste incursioni. In seguito, con il miglioramento della situazione politica nelle isole, la popolazione di Panarea aumentò sino a circa 1000 persone. Ma alla fine dell’ Ottocento diminuì nuovamente per via dell’ emigrazione , verso Stati Uniti , Sud America e Australia (gli eoliani nel mondo sono attualmente più di quelli residenti!). Ai giorni nostri la popolazione è intorno ai 200 abitanti stabili (in inverno, nei mesi estivi con i turisti può facilmente decuplicare). Gli isolani vivono ora soprattutto del successo turistico dell’isola, esploso alla fine degli anni settanta , ma iniziato alla fine degli anni cinquanta , con la scoperta di queste isole da parte di villeggianti più avventurosi, alla ricerca di un’oasi di vita più semplice e a contatto diretto con la natura. Per il senso di straniamento, fascinazione e sensazione di “perdersi” nella natura, che procuravano questi luoghi nel dopoguerra si ricorda il film Stromboli terra di Dio di Roberto Rossellini ( 1950 ) o l’altrettanto famoso L’avventura , di Michelangelo Antonioni ( 1960 ), ambientato in larga parte a Panarea, Basiluzzo e Lisca Bianca. Turismo Il successo turistico, che ha portato indubbi benefici economici e di qualità della vita alla popolazione dell’isola, ha (forse) inevitabilmente comportato aspetti negativi, quali una progressiva inesorabile cementificazione e speculazione edilizia (seppur in maniera minore e più controllata rispetto ad altre isole dell’arcipelago), una spersonalizzazione del carattere originario (le nuove case o quelle riadattate ad uso turistico stanno via via perdendo il carattere originario verso uno stile simil-eoliano senza radici o peggio verso un generico esotismo), una banalizzazione dell’offerta turistica non più dissimile da qualsiasi altra località balneare, un affollamento di massa nei mesi estivi, agosto in particolare, caratterizzato da un turismo “mordi e fuggi”, quest’ultimo più attratto dalla nomea (fortunatamente falsa) di “isola dei VIP”, che dalle effettive bellezze paesaggistiche dell’isola. Ciò nonostante resta inconfutabile che, al di fuori delle follie dell’alta stagione, è una delle isole più affascinanti di tutto il Mar Mediterraneo .

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venerdì 8 aprile 2011

L'Isola Gioiello di Bozcaada - Turchia

Bozcaada
Nessuna Urbanizzazione Selvaggia rovina il Paesaggio e la bellezza di Bozcaada, salvata da un piano regolatore rigido, che concede pochi permessi e per case di 80 metri quadri al massimo a un piano, fedeli all’architettura tradizionale. L’antica Tenedo cantata da Omero è celebre nella poesia epica perché durante la guerra di Troia i Greci vi ritirarono la flotta, per far credere ai nemici di aver abbandonato l’assedio, inducendoli così ad accogliere entro le mura il fatale cavallo di legno.
Il porto dell'isola
Il porto dell'isola
È una delle poche isole della Turchia: dopo la sconfitta nella Prima guerra mondiale, l’Impero ottomano fu privato di quasi tutte le isole nell’Egeo e nel Mediterraneo. Domina il porto la spettacolare fortezza ottomana sulla punta del capo che precipita in mare, racchiusa tra le mura possenti erette da Solimano il Magnifico. Nel piccolo museo si conservano anfore e capitelli corinzi recuperati nelle acque dei Dardanelli. Si ormeggia presso la gettata di cemento, rifugio dei caicchi da pesca. Ma Bozcaada è un piccolo paradiso soprattutto per le spiagge: le più spettacolari sono lungo la costa meridionale. Di sabbia e sassi come l’Ayana, affacciate su acque dai riflessi caraibici come Ayazma dominata dal monastero greco, attrezzate con Sdraio e ombrelloni come Habbele. Ancora più affascinante la solitaria caletta di Ariana, circa 30 minuti a piedi dal villaggio. Attorno al porto, si affacciano alberghi in Stile e Ristoranti riforniti ogni giorno dalle barche da pesca. Il più suggestivo è Marti Restaurant Café, che ha pochi tavolini in riva al mare, sullo sfondo della fortezza illuminata di Notte. Protagonista dei piatti e dell’infinità di mezé, gli antipasti, il pesce, dai calamari ai branzini. Salkum, facciata affrescata con grappoli d’uva in una vecchia stradina, offre piatti locali. Sul porticciolo, Sehir serve pesce ai tavolini in riva al mare. Lo stile dell’isola si ritrova negli hotel di charme, antiche dimore ristrutturate. Come il Kaikias, insospettabile in un’isola sperduta, affrescato con scene tratte dalla mitologia greca. Volte, letti a baldacchino, pezzi di antiquariato, una collezione di libri antichi di storia della Chiesa ortodossa. E copie di gioielli troiani, venduti come souvenir.
Il Marti Restaurant Café
Il Marti Restaurant Café
Era la vecchia scuola del paese, invece, l’hotel Ege, dall’aria vecchia, su un giardino dove si fa colazione. In una Stradina lastricata in pietra, una casa fine Ottocento dalla facciata azzurro polvere ospita il Rengigul Konukevi, un po’ troppo zeppo di oggetti e decori (quadri di famiglia, bambole, cappelli, lettere d’epoca, kilim, ricami), qualche caduta di gusto nei tessuti, ma un lussureggiante giardino con grandi tavoli per il breakfast, ottimo. La padrona è proprietaria anche di una galleria d’arte. Ma il posto più romantico è sull’incantevole Aquarium Bay. Purché si accetti di dormire in stanze Spartane alla luce di lanterne e candele. In cambio l’Akvaryum Pansyon, sei camere in un Edificio bianco con persiane blu, proprietà di un istruttore di diving e di una biologa marina, unica costruzione della zona, offre l’impagabile piacere di una baia solitaria; e passeggiate alle grotte, bagni nelle piscine naturali color turchese, a pochi metri, immersioni in fondali ricchissimi. 


Situata vicino all'ingresso dello Stretto dei Dardanelli, è una piccola isola anche nota come Tenedos. Chiamata "the windy island", l'isola ventosa perchè di giorno è perennemente sferzata dai venti che calano appena il sole tramonta.
Il paesino principale, dove attracca in traghetto, ospita una bellissima fortezza veneziana ed offre numerosi e caratteristici ristorantini di pesce. Il mare è ovunque azzurro e limpido. L'isola è famosa anche per l'ottima produzione di Vino fra cui il Cabernet.

Volete vedere una Turchia diversa, completamente fuori dai tour turistici? Quella per intenderci fatta di sacco sulle spalle, scarpe comode, un bel cappello in testa per ripararsi dal sole (se si è in estate), la bottiglie dell’acqua sempre appresso e magari un paio di pani da riempire con doner-kebap? L’occasione buona, allora, è quella di visitare due isole, non lontane le une dalle altre, le uniche che la Turchia possiede dal momento che –dopo la sconfitta nella I° Guerra Mondiale – l’Impero ottomano – fu privato di tutta la cosiddetta <piattaforma continentale> tanto nel Mar Egeo che in quello Mediterraneo. Si chiamamo Gokçeada e Bozcaada e fronteggiano i Dardanelli. Dal punto di vista storico-culturale c’è ben poco da ammirare ma a supplire questa mancanza è la natura rimasta incontaminata. Questo perché fino al 1987 le isole in questione erano off-limits in quanto sotto controllo militare. Poi, da quell’anno la revoca, anche se tuttora occorre sempre il rilascio di una specie di nullaosta per imbarcarsi, da Kanakkale e da Odunluk, rispettivamente alla volta delle antiche Imbros e Tenedos. Cominciamo Da Gokçeade.E’ l’isola più grande misurando 13 km da nord a sud e circa 30 km da est a ovest. Come scrive <Edt- Lonely Planet>, durante il conflitto del ’15-18 fu una importante base della campagna di Gallipoli in quanto il comandante degli Alleati, generale Ian Halmilton, si era stanziato con i suoi uomini nel villaggio di Aydincik, un tempo chiamato Kefalos. Ad abitare a Gokçeada – dove secondo Omero Poseidone aveva nascosto le sue mitiche scuderie – sono appena 7.000 anime che vivono di pesca e coltivando quel poco che di fertile si può utilizzare. Qui è tutto selvaggio, a cominciare dai villaggi molti dei quali abbandonati. La gente è cordialissima tanto che sembra di tornare indietro nel tempo. Nessuna malizia nei volti di uomini e donne che conducono una vita patriarcale senza stimoli affaristici. Per girare l’isola, dato che i dolmus sono piuttosto scarsi, conviene affittare una macchina o una motocicletta e puntare subito in direzione delle belle spiagge di Kalekoy e di Ugurlu oppure spingersi ancora più in là per ammirare il selvaggio di zone ancor meno conosciute come Kapikaya, Kokina e Yuvali. Riporta <Edt- Lonely Planet>: "Sui fianchi delle colline che sovrastano la valle centrale dell’isola sorgono i Villaggi greci di Zeytinli, Tepekoy e Durekoy, tutti costruiti in questa posizione per proteggere gli abitanti dalle incursioni e dai saccheggi dei pirati. Oggi molte case abbandonate stanno cadendo in rovina e le chiese hanno mantenuto un certo fascino e possiedono caffetterie dove può essere interessante fermarsi un po’. Il tratto di costa tra Kuzu Limani e Kalekoy è stato dichiarato <Parco marino>, quindi è zona protetta". Ai primi di luglio Gokceada fa da suggestivo sfondo alla <Festa delle uova> (Yumurta Panayiri). E’ una ricorrenza greca. Non va dimenticato, infatti, che fino ai primi anni settanta l’isola era ancora abitata dai greci che preferirono poi andarsene via dopo lo scoppio dei contrasti tra Ankara ed Atene per la questione di Cipro. In occasione della festa ogni anno sono molti i greci che ritornano sull’isola. Non vi manca mai il metropolita ortodosso di Istanbul. L’isola di Bozcaada si trova più a sud, quasi di fronte a Kumburum, al largo della costa della Triade. Si chiamava Tenedos. E’ celebre nella poesia epica greca perché durante la guerra di Troia i Greci vi ritirarono la flotta, allo scopo di far credere ai Troiani di aver abbandonato l’assedio e di essere sulla via del ritorno verso la Grecia, inducendoli così ad accogliere entro le mura della città il celebre cavallo di legno. Il nome Tenedos viene da Tenes, figlio di Cicno e di Prolea e fratello di Emitea. Era stato amato dalla seconda moglie di suo padre, Filonome: vedendosi respinta, questa non esitò a denunciarlo a Cicno. Il padre allora chiuse Tenes e la sorella di lui in una cesta e gettò entrambi in mare; trasportata dai flutti, la cesta fu alla fine abbandonata sulle rive dell’isola di Lucofride, i cui abitanti, dopo aver salvato Tenes, lo elessero a proprio re. Da allora l’isola, dal suo nome, venne chiamata Tenedos. Bozcaada è più piccola di Gokçeada e mostra una maggiore vivacità grazie ai produttivi vigneti che danno uno dei migliori vini di Turchia (Ataol, Talay e Yunatçillar). Si gira a piedi lungo il perimetro dell’isola fra falesie bianche o ci si può accontentare di distendersi sulla bella spiaggia di Ayazma dove si trovano diversi caffè e un monastero greco, a circa 5 km dal porto, sulla costa meridionale. Ancora più affascinante la solitaria caletta di Ariana, circa 30 minuti a piedi più lontano. Famosa per i suoi soldati, Bozcaada ha come unico sito turistico una enorme fortezza. 




l’isola del Cabernet

 

Bozcaada mare 620x351 TURCHIA Bozcaada, lisola del Cabernet
Turchia: il mare di Bozcaada

Raggiungere Bozcaada quando il buio l’ha già abbracciata, è il momento migliore per innamorarsene. Le luci che provengono dal piccolo porto e dalla fortezza la incorniciano rendendola ancora più misteriosa. Il traghetto che parte da Yükyeri İskelesi, circa 60 chilometri a sud-ovest di Çanakkale, va atteso al porto dove si fanno anche i biglietti. Non si sa a che ora possa partire, bisogna aspettare pazienti e fiduciosi. La piccola isola dalla forma triangolare un tempo era conosciuta come Tenedos, in onore di Tene, che la governò al tempo della guerra di Troia e che venne ucciso da Achille. Successivamente, nel periodo ottomano, i veneziani attribuirono all’isola un’importanza strategica tale da ripopolarla e costruirvi un’imponente fortezza. Colei che ancora

fortezza veneziana 300x225 TURCHIA Bozcaada, lisola del Cabernet

Turchia. Bozcaada: la fortezza veneziana
oggi, grazie alle sue perfette condizioni, dà il benvenuto al viaggiatore. L’unico paese dell’isola è Bozcaada o Kale (castello). Piccolo e grazioso, assomiglia moltissimo ad uno dei tipici paesi greci, poco distanti in linea d’aria. Allegre taverne dove degustare pesce fresco, colorati locali per fare la tipica ed abbondante colazione turca, mercatini serali per curiosare e fare qualche acquisto. Non è un luogo facile da raggiungere, anche per chi si muove in auto come me, tuttavia è un piccolo paradiso, lontano dalle affollate spiagge della costa turchese. Bianche spiagge e mare ceruleo sono disturbate, solo nelle ore diurne però, da un forte vento che soffia durante tutto l’anno. La prima volta che ci andai venni avvicinata, mentre ero al porto in attesa del traghetto, da un signore piuttosto meravigliato di vedere uno straniero e che sulla macchina esibiva un curioso adesivo “Life is a Cabernet”. Mi raccontò che l’isola era più che altro meta balneare per gli abitanti di Istanbul e luogo d’interesse per i sommelier, che ogni anno a giugno vi si recano per degustare la nuova produzione del rinomato Cabernet. Nonostante siano da sempre state coltivate le viti, per lungo
Bozcaada tramonto 300x225 TURCHIA Bozcaada, lisola del Cabernet
Turchia. Tramonto a Bozcaada

tempo i turchi non si sono occupati di vino per le regole religiose cui si attengono. Nella prima metà del 1900, però, iniziarono ad  interessarsi alla viticultura, tra gli anni ‘60 ed ‘80 questa tradizione crebbe e sull’isola si potevano contare tredici produttori. Quella della viticoltura è un’arte che viene insegnata fin da piccoli e, virtualmente, non c’è nessun adulto che non sia in grado di attuarla. La regola fondamentale da seguire, dicono qui, è quella di prendersi cura delle viti lungo tutto l’anno. I ceppi che germogliano a primavera e si trasformano in fiori delicati, gli acini che maturano sotto il caldo sole estivo, il profumo dei grappoli ormai raccolti in ceste durante la vendemmia che si diffonde per le strade, fino ad ottenere un vino corposo dal gusto rotondo. Piacevole da bere non solo per il suo buon sapore ma perché è parte dell’isola stessa, i cui abitanti amano ogni grappolo d’uva come fosse parte di un prezioso tesoro.

Isola Di Bozcaada - Turchia - La cartina Geografica

Vacanze in Turchia nella Zona degli Scavi della città di Troia

Troia, la città di Omero sulla costa Egea della Turchia


Troia è una città che conta più di 4.000 anni di storia, ed conosciuta come un importante centro di antiche civiltà. Per molti anni si ritenne che la città fosse una semplice leggenda e fosse stata solo menzionata in racconti epici come quelli di Omero, ritenuti privi di un fondamento di realtà. Quando nel 1872 l’archeologo Heinrich Schliemann annunciò la scoperta dei resti della città di Omero il mondo fu pervaso da un brivido di eccitazione.

Troia (Truva in turco) è situata nella provincia Hisarlik, non distante da Canakkale sullo stretto dei Dardanelli, dove è possibile visitare i resti di una grande città del passato. Per raggiungere Troia si devono percorrere i 30 km che la separano da Canakkale seguendo la stada Izmir-Canakkale-Yolu in direzione sud. Presso il villaggio di Gokcali si lascia la strada principale in direzione ovest e si raggiungono gli scavi di Troia, situati tra i villaggi di Ciplak, Kalafat e Tevfikiye. 



Il periodo migliore per visitare gli scavi di troia è la fine della primavera e l’autunno, quando le temperature non ancora torride consentono di passeggiare tra gli scavi senza soffrire per il gran caldo. Le massime in luglio ed agosto raggiungono di media i 30 °C con minime tra i 18-20 °C, mentre il periodo più piovoso è quello compreso tra novembre e marzo, con gennaio che rappresenta il mese più fresco con massime in genere comprese tra gli 8 e i 10 °C-


Cosa si può vedere a Troia?
Il metodo poco ortodosso di scavo dello Schliemann, pur provocando danni ebbe il merito di scoprire che Troia fosse composta da almeno 9 città diverse, che si sono succedute tra rovine e rinascite in un percorso lunghissimo ed affascinante. Certo l’archeologo Tedesco fece una importantissima scoperta, ma la limpidezza della sua opera rimane macchiata dal furto del celebre tesoro di Priamo, che Heinrich Schliemann scoprì l’ultimo giorno della sua campagna archeologica e che trafugò in Germania.


Troia appare nella letteratura greca e latina. Omero la menziona per la prima volta nella storia all’interno delle sue grandi operr, l’Iliade e l’Odissea. Ileum è infatti in nome latino di Troia, che viene poi ripreso da Virgilio che nella sua Eneide racconta della distruzione di Troia e delle fuga di Enea, figlio di Priamo, unico sopravvissuto della famiglia di Priamo e fondatore della civiltà romana. Il racconto dell’inganno di Ulisse con il cavallo di legno che scardine le difese della città è diventato una metafora universale dell’astuzia e della furbizia dell’uomo.




Ciò che invece gli scavi raccontano, è che Troia, durante l’età del bronzo, ebbe un grande potere a causa della sua posizione strategica al confine tra Europa e Asia. Le rovine di Troia furono trovaei prima di Charles McLaren nel 1822 ma ad Heinrich Schliemann va i lmerito di avere attribuito la giusta corrispondenza dei resti alla mitica città di Omero.
Alla fine gli scavi hanno identificato nove livelli di Troia:


• I livello che risale al 3000 a.C. ed è un villaggio neolitico, con abitazioni dalla struttura elementare
• II livello è compreso tra il 2500 e 2000 a.C. ed è una piccola città con mura contraddistinte da enormi porte, e con un megaron (palazzo reale). Schliemann credeva fosse la città distrutta dagli Achei
• III - IV - V livelli sono databili tra il (2000 e il1500 a.C.): tre villaggi distrutti ognuno poco tempo dopo la loro fondazione
• VI livello corrisponde al periodo 1500 - 1250 a.C.: ed è una vasta città a topografia ellittica, disposta su terrazze giustapposte, con mura imponenti, assemblate da enormi blocchi di pietra levigati e squadrati, dotate di porte e torri. Fu forse distrutta da un terremoto.
• Il VII livello (1250 - 1200 a.C. ): segna la rinascita della città precedente, ma anche una repentina distruzione: le tracce di un incendio fanno attribuire a questa città la corrispondente della Troia di Omero
• VIII livello (VII secolo a.C.): una semplice colonia greca , senza fortificazioni
• IX livello (dall'età romana al IV secolo): corrisponde a costruzioni romane costruite sulla cima spianata della collina.


Il sito attuale è visitabile a pagamento, con orario che va dalle 8 del mattino alle 5 del pomeriggio. All’interno degli scavi un enorme cavallo di legno cattura l’attenzione dei turisti, e se non siete davvero appassionati di archeologia è forse questa l’attrazione che più vi colpirà della visita del sito, assieme alle possenti mura che testimoniano della grandezza, effimera, della città.


Yenikoy : Cittadina turca sul Mare nei Pressi degli Scavi di Troia

Ancora Yenikoy in una Cartolina D'Epoca

Cittadina di Yali - Turchia
Yali Turchia - nei Pressi degli Scavi di Troia

Yali - Turchia - La Spiaggia
Yali - la Spiaggia - Ottima Base per Visitare gli Scavi Archeologici
Yali - le particolari Costruzioni in Legno






Yenikoy - la Zona Povera della Città
Yenikoy - Turchia - La Chiesa




Il Link di Google Maps/Turchia per Rendervi conto delle Distanze

 Il Sito di informazioni a Cura Dell' Ambasciata Turca - Completamente in Italiano
Pagina Web Per I Pernottamenti a Yenikoy


Iskanderun












 


Storia precristiana:

La città di Iskenderun sembra che si debba identificare con Alessandria ad Issum, città fenicia di Miriandro. A circa 37 km da essa, nella piana d'Isso, Alessandro Magno riportò una famosa vittoria contro Dario III (333 a.C.). La battaglia che contrappose l'esercito macedone alla «grande armata» persiana, fu vinta grazie alla solidità della fanteria macedone ed all'intelligente impiego della cavalleria da parte di Alessandro. A seguito della vittoria ottenuta questi fondò nuovamente la città dandole il proprio nome: Alessandria ad Issum o Scabiosa (montagnosa). Nell'intenzione del rè macedone, essa — a motivo della sua posizione favorevole — doveva attirare il commercio delle grandi carovane della Mesopotamia. Tuttavia la scelta successiva dei Seleucidi di rendere capitale del loro regno Antiochia e come porto di essa Seleucia Pieria, ridussero l'importanza di Alessandria.
Prima di partire per la guerra contro i Giudei, conclusasi con l'espugnazione di Gerusalemme (70 d.C.), l'imperatore Tito venne qui per assumere il comando di due legioni che lo attendevano.
I primordi del cristianesimo in città
In questa città si eresse un episcopato ma abbiamo a disposizione solo il nome di pochi vescovi. Nella Cronaca di Dionigi di Telmahar si trova la menzione di un ignoto vescovo di Alexandria parva (piccola Alessandria), vissuto attorno al 200. Nel III secolo d.C. la città viene distrutta dai Persiani. Significativo il fatto che il primo vescovo conosciuto, Esichio di Alessandria Minore, compaia nella lista dei 9 vescovi di Cilicia presenti al concilio di Nicea (325). Questo numero, congiunto alle testimonianze d'un episcopato di campagna (corepiscopato), relativamente diffuso, portano a concludere che nella regione il cristianesimo, già agli inizi del IV secolo, dovette trovare una notevole espansione. Ancora alla seconda metà del VI secolo la Chiesa di Alessandretta risulta inclusa nella provincia della Cilicia Seconda. Il nome di Ìskenderun, con il quale attualmente viene denominata, risale all'epoca della conquista da parte degli arabi, avvenuta nel VII secolo. Agli inizi del X secolo, però, la diocesi non esiste più suppur tuttavia il cristianesimo continua ad vivere nella città, seppur sembra avere Antiochia come centro di riferimento. Non dobbiamo poi scordare che dalla fine dell'XI secolo a quella del XIII la città si trova sotto il Principato Crociato di Antiochia. In questà città fino all'annessione alla Turchia si trovavano insieme diverse delle confessioni cristiane: cattolici, ortodossi, siriani, armeni, protestanti ecc. Basta vedere le numerose chiese e scuole cristiane che vi erano in città alla pagina "cristiani".
La rinascita civile e cristiana della città nel XIX secolo

 
Il XIX secolo fu un rigogliere di chiese e scuole cristiane che venivano costruite nella città a mano a mano che andava crescendo il numero dei cristiani. La loro presenza vide però un brutto calo con la Prima Guerra Mondiale.(la storia di questi edifici si può leggere in dettaglio nelle altre pagine).
Coll'annessione alla Turchia (1939) venne fatto chiudere subito il Colleggio dei Fratelli delle Scuole Cristiane e trasformato in scuola statale.
 
Si è notato che questi credenti portano delle maschere speciali quando sono in aereo o in autubus ermeticamente chiuse. Questo perché l'aria che esce dai polmoni di un non credente non sfiorerà i polmoni di un "Credente" che viaggia con lui. Lo stesso per le trasfusioni di sangue utilizzano il sangue donato da un Credente. I rilievi scientifici quali l'Rh+ o Rh- non sono assolutamente validi ne necessari in questi casi. La fede è la loro protezione. Alessandretta oggi conta circai 200.000 abitanti.

Isola di Panarea - Sicilia : I Video e La Cartina Geografica









Isola di Panarea - Sicilia - L'Articolo








Panarea è l’isola più piccola dell’arcipelago, ed è attorniata da numerosi isolotti satellite come Basiluzzo, Lisca Bianca, e le Formiche.
 


Deve il suo nome alla morfologia (tutta sconnessa) anche se anticamente veniva denominata Euonymos “che sta a sinistra” per i naviganti provenienti da Lipari e diretti verso la Sicilia.
Isola tranquilla, lontana dai clamori della città tanto che la circolazione è stata interdetta alle autovetture, è dominata dalle stradine strette, dai tetti delle basse casette e dalle colorate bouganville che contrastano con l’azzurro accecante del mare.
Molti turisti ed avventori, colpiti dalla bellezza dell’isola, hanno nel tempo acquistato e ristrutturato i vecchi ruderi, costruiti esclusivamente con materiali reperibili sull’isola e caratterizzati da pareti rustiche senza intonaco per mimetizzarsi agli occhi dei pirati che infestavano le acque circostanti.
Si sbarca al porto della contrada di San Pietro, un borgo di bianche casette immerse nella vegetazione e proseguendo verso sud l’importante villaggio preistorico di Cala Junco, dove sono state ritrovate ventitrè capanne ovali in pietra risalenti all’età del Bronzo (1400 a.C.) insieme a vasellame, ceramiche, macine, mortai e pentole abbandonati come se gli abitanti dell’epoca fossero stati assaliti all’improvviso.
Al di là di Cala Junco si giunge a Drautto dove si possono ammirare grandi formazioni rocciose dette “Spine”, resti di colate laviche. Si volge così a Cala degli Zimmari per poter raggiungere in seguito il promontorio di Capo Milazzesa.
L’isola di Panarea e il piccolo arcipelago che la circonda sono la testimonianza dell’importante attività vulcanica delle numerose bocche eruttive oramai sommerse per la maggior parte. Lisca Bianca dà il nome alla sua splendida spiaggia circondata dalla roccia, frutto dell’azione delle fumarole, bolle gassose o solforose attive da millenni, ancora oggi visibili sott’acqua nell’area compresa tra Dattilo, Bottare e la stessa Lisca Bianca.
Di sicuro interesse sono lo scoglio inaccessibile di Spinazzola che ospita una colonia di rarissime palme nane e l’isola di Basiluzzo che si presenta come una cupola con pareti a picco sul mare. Qui le rocce assumono infatti le forme più strane e bizzarre e si scorgono i differenti strati di colate laviche: le bande chiare delle più recenti si alternano con quelle più scure composte di ossidiana sicuramente più antiche, esiste un unico approdo naturale da cui parte un sentiero che conduce ai resti di una villa romana appartenente ad un ricco signore dell’epoca. Oggi l’isola è disabitata ma per molti anni questa isola venne adibita alla coltivazione dei cereali.
Circumnavigando Panarea si supera lo scalo di Iditella e la spiaggia della calcara, si incontrano Punta Palisi, la Grotta del Tabacco ed infine il paradiso dei sub, lo Scoglio Pietra la Nave, resti di un antico cratere. Si giunge poi a Punta Scritta per cui la tradizione tramanda vi fossero iscrizioni, forse di pirati Saraceni.
Si susseguono tra colate laviche e prismi basaltici Punta Muzza caratteristica per l’imponente parete del Capraio, a seguire l’emozionante Cala Junco, Cala del Morto, la caletta degli Zimmari affollata dal turismo specialmente in agosto, l’insenatura di Drautto, Punta Torione, Punta Peppe Maria per ritornare nuovamente al porto di San Pietro.


Panarea è la più piccola delle Isole Eolie, ma contra fra i vulcani potenzialmente attivi dell'arcipelago. Considerata fino a recentemente un vulcano "estinto", si hanno ora dei dati che indicano un vulcanismo molto più giovane, possibilmente di età olocenica. Inoltre esiste, nella zona degli isolotti e scogli ad est di Panarea, una zona di attive fumarole sottomarine, conosciuta già all'epoca greco-romana, e luogo di uno spettacolare aumento delle emissioni gassose nell'autunno 2002.
Panarea fa parte di un grande apparato vulcanico per lo più sommerso, di cui la porzione emersa, comprensiva degli scogli di Dattilo, Basiluzzo, Lisca Bianca e Lisca Nera, rappresenta solamente l’orlo di una depressione vulcano-tettonica di forma ellittica con asse maggiore orientato E-O. Questa struttura vulcanica si estende complessivamente per 460 km2, sollevandosi da una profondità di 1000 m circa; la porzione emersa, profondamente interessata dai processi di modellamento operati dall’erosione superficiale e dalla tettonica, si presenta molto aspra nei versanti occidentali e settentrionali per la presenza di ripide falesie, mentre in quelli meridionali ed orientali è possibile notare la presenza di tre terrazzi marini testimonianti sia l’azione erosiva operata dal mare, sia il sollevamento relativo avvenuto in successivi stadi

Isola di Panarea

L'isola di Panarea è la più piccola delle sette isole dell'arcipelago siciliano delle Eolie. A differenza delle altre isole, che sono piuttosto tranquille e poco mondane, l'isola di Panarea è frequentatissima soprattutto dai giovani, che la scelgono come meta ideale per il divertimento estivo. Ogni giorno, infatti, è possibile trovare feste in barca e la sera ci sono molti luoghi in cui far festa fino a mattina. Panarea, anticamente, era molto più grande, poi una parte di essa è sprofondata in seguito ad un'eruzione vulcanica, che ha formato una serie di isolotti staccati fra di loro.

Come arrivare

L'isola di Panarea è raggiungibile con aliscafi da Milazzo, Messina, Reggio Calabria, Palermo e Napoli, e navi da Milazzo e da Napoli.

Cosa vedere

Dal momento che sull'isola non è permesso portare il proprio mezzo di trasporto, ci si può spostare con i taxi elettrici o affittando una barca. Una parte dell'isola presenta delle spiagge piccole, una delle quali è la più bella spiaggia di sabbia delle Eolie, mentre l'alto lato è caratterizzato da coste frastagliate, con alte scogliere a picco sul mare. Panarea ha una ricca vegetazione, ricca di fichi d’India, lentisco, agavi, ginestre, capperi e piante di olivi secolari ed una fauna che vanta la presenza di falchi della regina, corvi, qualche cormorano e gabbiani reali. Panarea si gira facilmente perchè èmolto piccola e la sua architettura è quella del tipico stile eoliano. L'isola è abbastanza tranquilla, ma a luglio ed agosto è la eta dei giovani che vogliono divertirsi: a Panarea infatti c'è una delle discoteche più famose di tutto il mediterraneo.









L’ Isola di Panarea è la più piccola (3,4 km²) e la meno elevata delle Isole Eolie ( 421 metri nella sua maggiore elevazione, il Timpone del Corvo) e con gli isolotti di Basiluzzo , Spinazzola, Lisca Bianca , Dattilo, Bottaro, Lisca Nera e gli scogli dei Panarelli e delle Formiche, forma un piccolo arcipelago fra Lipari e Stromboli posto su un unico basamento sottomarino. L’approdo più importante e scalo commerciale e turistico è nella località San Pietro, la principale contrada dove si concentra l’odierno abitato. Le altre contrade sono Ditella (o Iditella) a nord-est e Drautto, a sud-ovest. Dal punto di vista geologico Panarea è la più antica isola delle Eolie, con gli isolotti circostanti quel che resta di fenomeni eruttivi di un unico bacino vulcanico , oramai quasi del tutto sommerso ed eroso dal mare e dal vento.
Divisa nel senso della lunghezza da un’elevata dorsale, rimane soltanto la parte orientale e meridionale dell’isola originaria, con coste relativamente limitate in altezza, caratterizzate da piccole spiagge e vaste zone pianeggianti, anticamente coltivate a vigne ed oliveti e di cui ancora oggi si notano i terrazzamenti che erano adibiti alle colture, oramai abbandonate. Il lato occidentale e settentrionale è caratterizzato da alte coste inaccessibili e molto frastagliate, un continuo succedersi di terrazzamenti, crepacci e suggestive formazioni di lava solidificata. Il condotto principale dell’originario complesso vulcanico è situato all’incirca nel tratto di mare compreso tra lo scoglio La Nave e lo scoglio Cacatu. Sempre dal mare, sulla costa occidentale (Cala Bianca), sono invece visibili i resti di un camino vulcanico secondario dalla forma di grosso imbuto. Sul lato nord-est dell’isola, sulla spiaggia della Calcara è tuttora possibile scorgere fumarole di vapori che si levano dalle fessure fra le rocce (dai suggestivi colori sulfurei ), ultime tracce di attività vulcanica con temperature fino ai 100°C . In alcuni punti fra i ciottoli in riva al mare, per effetto di queste sorgenti di calore, l’acqua ribolle fino ad essere ustionante. Altri fenomeni eruttivi subacquei (recentemente alla ribalta della cronaca per un’improvvisa aumentata attività) sono evidenti nel ribollire delle acque fra l’isolotto di Bottaro e Lisca Bianca. Non sono invece più identificabili le sorgenti termali segnalate sulla carta poco a nord della punta Peppe Maria “cementificate” (vedi oltre) dal “lungomare” costruito negli anni ottanta . Flora e fauna La macchia mediterranea di Panarea presenta fico d’India ( Opuntia ficus indica ) , lentisco ( Pistacia lentiscus ) , ginestra ( Spartium junceum ), cappero ( Capparis spinosa ) e piante di olivo ( Olea europaea ) secolari, resti dell’antica vocazione agricola dell’isola (scomparsi i vigneti che esistevano fino agli anni settanta ). La vegetazione originaria è poi contaminata da molte specie vegetali esogene, arrivate con il boom edilizio e turistico. Per quanto riguarda la fauna è presente il falco della regina ( Falco eleonorae ) , il corvo ( Corvus corax ) , qualche marangone( Phalacrocorax carbo ) e il gabbiano reale ( Larus argentatus ) che nidificano sulle inaccessibili pareti delle coste occidentali. Caratterizza la fauna isolana il geco ( Tarentola mauritanica ) , innocuo e utilissimo predatore di insetti. Storia Panarea fu abitata già in epoca preistorica come testimonia il villaggio dell’ età del Bronzo ( XIV secolo a.C. ) sul promontorio del milazzese , a sud-ovest dell’isola. La particolare posizione del pianoro, proteso verso il mare e protetto da alte pareti a dirupo sul mare – dunque facilmente difendibile – ne fece un luogo ideale per l’insediamento: nel villaggio, di cui sono visibili e visitabili i resti di una ventina di capanne, sono stati ritrovati materiali d’origine micenea , a testimonianza del ruolo svolto, anche in antichità, dall’arcipelago eoliano, al centro delle principali rotte commerciali del Mar Mediterraneo . Nell’antichità si ritrovano diversi nomi per Panarea: Euonymos (che sta a sinistra, andando da Lipari verso la Sicilia ) e Hycesia (la supplice). Poi è apparso Panaraion (la distrutta) per passare poi a Pagnaria (la maledetta), quindi a Panaria ed infine a Panarea. Per il resto Panarea condivide la storia delle altre isole Eolie ed in particolare di Lipari. Abitate fin dal neolitico , nel periodo fra il VII e il VI secolo a.C. le isole furono preda di continue scorrerie etrusche fino a quando quest’ultimi non vennero sostituiti dalla colonizzazione greca . Nel 264 a.C. Lipari è alleata di Cartagine e le isole devono quindi subire i continui attacchi della flotta romana. Nel 252 a.C. Lipari e le sue isole passeranno sotto il dominio romano . Ne sono prova i resti di una villa romana sulla difficilmente accessibile sommità dell’isolotto di Basiluzzo, proprietà di un eccentrico possidente romano, evidentemente amante dell’asprezza e bellezza dei panorami panarellesi. Con la caduta dell’ Impero romano inizia un periodo di decadenza che aumenta con la dominazione bizantina e diviene ancor più rapida con l’inizio dell’occupazione araba ( 827 / 1061 ). Con l’avvento dei Normanni ricominciò lo sviluppo economico e demografico delle isole ( 1340 - 1544 circa). A metà del 1500 infatti gli arabi ricominciarono a insidiare le isole (ne resta traccia nella toponomastica isolana nella baia e relativa contrada di Drautto, dal nome del pirata Drauth . Per le scorrerie della pirateria arabo-turca l’isola rimase pressoché disabitata, gli abitanti infatti non superavano il centinaio. Verso la fine del XVII secolo i contadini di Lipari ripresero a coltivarla (senza portarvici però donne e bambini, per via del pericolo delle scorrerie piratesche). È significativo come sopra il villaggio preistorico di Cala Junco esista il “Castello del Salvamento” (nella toponomastica eoliana “castello” sta per pinnacolo roccioso di notevole altezza), usato appunto come provvidenziale rifugio degli abitanti durante queste incursioni. In seguito, con il miglioramento della situazione politica nelle isole, la popolazione di Panarea aumentò sino a circa 1000 persone. Ma alla fine dell’ Ottocento diminuì nuovamente per via dell’ emigrazione , verso Stati Uniti , Sud America e Australia (gli eoliani nel mondo sono attualmente più di quelli residenti!). Ai giorni nostri la popolazione è intorno ai 200 abitanti stabili (in inverno, nei mesi estivi con i turisti può facilmente decuplicare). Gli isolani vivono ora soprattutto del successo turistico dell’isola, esploso alla fine degli anni settanta , ma iniziato alla fine degli anni cinquanta , con la scoperta di queste isole da parte di villeggianti più avventurosi, alla ricerca di un’oasi di vita più semplice e a contatto diretto con la natura. Per il senso di straniamento, fascinazione e sensazione di “perdersi” nella natura, che procuravano questi luoghi nel dopoguerra si ricorda il film Stromboli terra di Dio di Roberto Rossellini ( 1950 ) o l’altrettanto famoso L’avventura , di Michelangelo Antonioni ( 1960 ), ambientato in larga parte a Panarea, Basiluzzo e Lisca Bianca. Turismo Il successo turistico, che ha portato indubbi benefici economici e di qualità della vita alla popolazione dell’isola, ha (forse) inevitabilmente comportato aspetti negativi, quali una progressiva inesorabile cementificazione e speculazione edilizia (seppur in maniera minore e più controllata rispetto ad altre isole dell’arcipelago), una spersonalizzazione del carattere originario (le nuove case o quelle riadattate ad uso turistico stanno via via perdendo il carattere originario verso uno stile simil-eoliano senza radici o peggio verso un generico esotismo), una banalizzazione dell’offerta turistica non più dissimile da qualsiasi altra località balneare, un affollamento di massa nei mesi estivi, agosto in particolare, caratterizzato da un turismo “mordi e fuggi”, quest’ultimo più attratto dalla nomea (fortunatamente falsa) di “isola dei VIP”, che dalle effettive bellezze paesaggistiche dell’isola. Ciò nonostante resta inconfutabile che, al di fuori delle follie dell’alta stagione, è una delle isole più affascinanti di tutto il Mar Mediterraneo .

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