domenica 20 marzo 2011

Ragusa – Sicilia


La visita della città può cominciare con la visita della Basilica di San Giorgio esempio imponente di barocco siciliano.
Ultimata nel 1775 su disegno di Rosario Gagliardi, presenta una elaborata facciata divisa in tre parti da fasci di colonne e motivi decorativi tipici dell'epoca. La parte centrale, stretta e lunga, è conclusa da una cupola ottocentesca alta più di 40 metri e sorretta da 16 colonne binate.
Nonostante i diversi elementi architettonici appartengano a epoche diverse - la scalinata e la cupola sono posteriori alla chiesa - l'insieme risulta straordinariamente armonioso. All'interno, nella navata centrale, troviamo 13 vetrate istoriate rappresentanti i martiri di S. Giorgio, dipinti di Vito D'Anna e, in Sacrestia, una bella pala di altare marmorea, notevoli sculture di scuola gaginesca e un ricco 'Tesoro del Santo'.
In Piazza Pola, la Chiesa di San Giuseppe presenta una facciata molto simile a quella della Basilica di S. Giorgio, ed è per questo attribuita al Gagliardi. Nell'interno, di forma ellittica, si può vedere ancora la semplice facciata ornata da un bel portale con stemma dell'ordine conventuale e un piccolo barocco campanile a vela. Nell'interno, a una navata, oltre a stucchi e qualche tela, si conservano altre preziose opere barocche, oltre alla presenza di una bella statua in argento di S. Giuseppe del 1600.
Di ritorno da Piazza Pola, e imboccata via Orfanotrofio, ci accoglie la Chiesa di Sant'Antonio , già Santa Maria La Nuova, con un bel portale ogivale in un fianco, residuo dell'antica chiesa in stile gotico, e l'attuale portaletto barocco.
Nell'interno si può vedere ancora nel portale della sagrestia un altro resto dell'antica struttura.
Non lontano c'è l'ingresso della Villa Comunale o Giardino lbleo, ben curato, ampio e panoramico: dalla sua balconata infatti si godono magnifiche vedute sia dei monti di fronte sia della valle dell'Irminio.
Nell'interno della villa sorgono tre chiese: quella dei Cappuccini con convento , quella di San Giacomo e quella di San Domenico o del Rosario, dal campanile con maioliche colorate, ma ormai cadente, con grandi linee di frattura nella facciata.
Poco prima dell'ingresso sorge la Chiesa di San Giorgio Vecchio con un bel portale in stile gotico-catalano, con nella lunetta San Giorgio che uccide il drago, e nei due rombi laterali le aquile aragonesi. La chiesa di San Giorgio, eretta verso la metà del secolo XIV, nel periodo chiaramontano, doveva essere molto grande (a tre navate) e sicuramente molto bella, a giudicare dalla sontuosità di questo portale a forte strombatura il quale, anche se ormai quasi del tutto corroso dal tempo, conserva una sua antica bellezza con le sculture nella dolce roccia locale, da sembrare ricami.
All'interno del parco, come già detto, si innalzano le interessanti chiese di San Domenico, col campanile in terracotta policroma, di origine trecentesca, e quella dei Cappuccini Vecchi, caratterizzata da una semplice facciata ravvivata da quattro paraste a capitelli corinzi che reggono un frontone neoclassico accompagnato da due piccoli campanili. L'interno della chiesa con tetto a capriate conserva una delle piú belle tele di Ragusa, il trittico di Pietro Novelli (il Monrealese), rappresentante la Madonna fra gli angeli e Santi, (uno degli apostoli é un suo ritratto).
Poco distante sorge la Chiesa di Santa Maria delle Scale in via XXIV Maggio. Ricostruita dopo il terremoto, ha avuto salvi il portale, un bel pulpito gotico e il campanile. All'interno degni di nota sono gli archi di tipo gotico e rinascimentale e un'immagine cinquecentesca della Vergine, opera in terracotta della scuola del Gagini. Dal terrazzo antistante la chiesa si dipartono le scale (circa 250 gradini), che, a rampe, ci portano a Ragusa lbla.
Qui, nell'antico nucleo cittadino, si incontra la settecentesca Chiesa di Santa Maria dell'Idria. La chiesa fu costruita per l'ordine dei Cavalieri di Malta nel 1639, quando ebbero a lbla una commenda dell'Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani. Sulla porta si nota ancora la croce dell'ordine maltese. L'interno é fastoso, con sontuose decorazioni agli altari, diversi l'uno dall'altro. Alla sinistra della chiesa si erge un campanile che, oltre alla cella campanaria, sorregge una balaustra, che circonda un cupolino, la cui base ottagonale é rivestita da formelle policrome di Caltagirone, decorate con vasi e fiori.
Poco lontano si trovano Palazzo Cosentini e Palazzo Bertini. Il primo é una tipica costruzione del barocco siciliano del '700. Probabilmente questo é il piú caratteristico di quei palazzi, con eleganti balconi, sorretti da ornatissimi mensoloni con una serie di personaggi e un repertorio di animali, mostri, belve, facce orribili e fantastiche, che sono appunto una caratteristica del barocco. Palazzo Bertini, realizzato dalla famiglia Florida verso la fine del '700, fu poi comprato dai Bertini, dai quali prese il nome. La caratteristica di questa costruzione sono tre mascheroni, impostati nella chiave di volta delle finestre. I tre mascheroni sono stati oggetto di interpretazioni diverse, ma quella che viene piú comunemente accettata é quella dei "tre potenti". Il primo mascherone rappresenterebbe il povero deforme, che, con la lingua di fuori, con alcuni denti mancanti e col naso enorme, ha l'espressione di colui che, non possedendo niente, non può essere privato di nulla. All'altra estremità sarebbe rappresentato il commerciante con turbante, con i baffi ben curati e con l'aspetto tranquillo, simbolo di colui che ha tutto e che tutto può grazie al suo denaro. La figura centrale rappresenta un nobile signore, con sguardo fermo e sicuro, colui che può fare ogni cosa, e rappresenta quindi il potere dell'aristocrazia. Il nobile, in quanto al centro della società, é scolpito in posizione frontale, fra povertà e ricchezza.
Un altro edificio che merita di essere visitato é la Cattedrale di San Giovanni che si trova nella piazza omonima. La chiesa, costruita tra il 1706 e il 1760, presenta una bella facciata barocca riccamente decorata, un imponente portale e un campanile a cuspide. Da vedere, all'interno, le pregiate decorazioni in stucco delle cappelle ottocentesche. Sul retro della chiesa si trova la Casa Canonica, bell'edificio barocco alleggerito da diverse finestre balconate.
Prendendo il corso Italia, sulla destra della cattedrale, e deviando per via Scuola, si arriva in piazza del Carmine con il Santuario di origine settecentesca ma di piú recente ricostruzione.
Imboccando via del Mercato, deviando a destra per via XI Febbraio e poi a sinistra per via Di Stefano, ci si ritrova in piazza del Duomo. Accanto alle pompose basiliche, la città ospita il Museo Archeologico lbleo in via Natalelli, allestito al piano terreno dell'Hotel Mediterraneo, che conserva i reperti archeologici degli scavi compiuti nella provincia ragusana. Sono catalogati topograficamente e cronologicamente a partire dal neolitico e divisi in sezioni. La prima sezione raccoglie le testimonianze del Neolitico fino all'Età del Bronzo (cultura di Castelluccio). La seconda é dedicata esclusivamente ai ritrovamenti di Camarina: corredi di necropoli, modellini della città e ceramiche ellenistiche e romane. La terza sezione ospita numerose testimonianze dei primi insediamenti siculi: di particolare interesse é la documentazione relativa al centro di Monte Casasia e delle necropoli di Castiglione e di Ragusa lbla. La quarta sezione raccoglie documenti relativi ai centri di età ellenistica, in particolare agli scavi di Scornavacche, e la ricostruzione con materiali originali della bottega di un ceramista. La quinta sezione ospita materiali di età romana e tardoromana con una ricca documentazione proveniente dai centri di Caucana e di S.Croce Camarina, dove sono stati rinvenuti bei mosaici pavimentali appartenenti a una chiesa paleocristiana.
Il primo ponte di Ragusa, detto Ponte Vecchio o Ponte dei Cappuccini fu fatto costruire grazie all'interessamento dei frati, particolarmente di padre Occhipinti Scopetta, che fu tra i primi a riconoscere la necessità di un ponte che superasse la valle del Gonfalone. Il ponte, progettato dall'ing. Giarruso e inaugurato nel 1835, fu concepito a due ordini: l'inferiore a 4 arcate e il superiore a 10. Una breve escursione si può compiere a due km da Ragusa dove si trovano gli impianti di estrazione e di lavorazione del calcare bituminoso. A cielo aperto o in galleria, essi rappresentano uno dei maggiori complessi del genere. Non lontano dalle miniere scavi recenti hanno portato alla luce una latomia, cioé un antro scavato nella pietra, con tombe di età paleocristiana (IV sec. d.C.).
Spostandoci poi da Ragusa, e procedendo verso Santa Croce Camerina, a circa 20 km, possiamo raggiungere il Castello di Donnafugata.
Di grande effetto scenografico, e per questo più volte tramutato in set cinematografico, esso deve il proprio nome ad un toponimo di origine araba risalente all'anno 1000, la cui traduzione suona come 'fonte della salute', trasformato poi a livello dialettale in 'Ronnafuata' e 'Donnafuata'. Nella forma attuale il castello, o villa residenziale, è da far risalire alla seconda metà dell'ottocento: edificato da Corrado Arezzo, barone di Donnafugata, nel corso dei secoli esso subisce diversi rimaneggiamenti tanto che nessuno stile ben definito gli risulta proprio: la grande terrazza della facciata e i due torrioni rotondi sono affiancati da piccole logge tardo rinascimentali e dalla loggetta in stile gotico veneziano degli inizi del '900.
Delle totali 122 stanze, in parte aperte al pubblico, previa comunicazione agli uffici comunali di Ragusa, sono esclusivamente quelle situate al primo piano, sufficienti, comunque, a creare un'atmosfera particolarmente sfarzosa ed imponente. Circondano il castello ben otto ettari di parco arricchito dalla presenza di una costruzione neoclassica, la cosiddetta 'coffee-house', un labirinto, grotte artificiali e curiosi quanto ormai insoliti meccanismi nascosti, definiti 'scherzi', il cui scopo era un tempo quello di intrattenere piacevolmente gli ospiti del barone.
GEOGRAFIA
(258 km da Palermo; 67 535 abitanti; 502 m s.l.m.; CAP 97100; prefisso tel. 0932).
Sebbene esclusa dai comuni percorsi turistici, Ragusa è una sorpresa interessante, sia per la posizione geografica, sia per la ricchezza del suo patrimonio artistico.
Essa è posta su di una roccia calcarea tra due valloni: la cava di San Leonardo e la cava di Santa Domenica. La città è divisa in due distinti nuclei, Ragusa Inferiore (l'antica lbla) e Ragusa Superiore, separati dalla "Valle dei Ponti", un profondo burrone attraversato da quattro ponti, dei quali ricordiamo quello ottocentesco dei Cappuccini.
La città palesa nella differente struttura urbanistica il suo passato di località in parte devastata da un'intensa attività sismica. In seguito al catastrofico terremoto del 1693 si procedette alla ricostruzione della città Vecchia nello stesso luogo della originaria (lbla) e alla costruzione di nuovi edifici in contrada Patro, facendo nascere il primo nucleo di Ragusa Nuova. Essa costituisce ancor oggi il quartiere storico della città: di impianto urbanistico medievale, con la ricostruzione avvenuta nel '700-'800 assume un aspetto armonioso e architettonicamente saturo, ricco di chiese e palazzi barocchi.
Il centro nuovo, meno ricco di caratteri monumentali, si dispone invece su un reticolato di tipo moderno, con vie larghe e simmetriche.
STORIA
Ragusa lbla è sorta sulle fondamenta dell'antica Hybla Heraea che fu a fondata dai Siculi, dei quali restano molte testimonianze, come i loculi funerari a sezione rettangolare ben visibili nella valle del Gonfalone, lungo la strada che conduce a Modica.
Alcuni secoli piú tardi subì l'invasione dei Greci, di cui assimilò profondamente usi e costumi. Del periodo greco non rimangono centri abitati, ma solo necropoli, tombe scavate nella terra e nel calcare e coperte da lastroni di pietra, delle quali esistono varie testimonianze. La più importante è quella di Monte Rito, oltre a quelle scoperte in contrada Cortolillo, Balatelle, Cava Pece, Cucinello e Tabuna.
Hybla H. conservò la propria indipendenza fino a metà del III secolo a.C. quando, all'arrivo dei Romani, tutta la Sicilia perse l'indipendenza, divenendo una "provincia Romana". A seguito dello smembramento dell'Impero Romano in Impero d'oriente e Impero d'occidente, la città passò circa cinque secoli sotto la dominazione bizantina e cambiò il nome da Hereusium in Reusia. Durante questo periodo la città, come la maggior parte della Sicilia, poco difesa dai bizantini, subì continue ripetute scorrerie da parte di Vandali, Goti e Visigoti. Le uniche testimonianze rimaste della dominazione bizantina sono alcune tombe, di cui la piú importante é quella delle Trabacche nella valletta di Buttino, dove si trovano altre grotte sepolcrali. Nella vicina zona Centopozzi sono stati ritrovati numerosi pozzi (da cui il nome), forse a testimonianza di un luogo abitato.
Nell'844 gli Arabi occuparono Reusa per la prima volta, ma gli abitanti si difesero riuscendo ad allontanarli. Nell'848 gli Arabi ritornarono riuscendo a occupare la città e imponendo duri patti di sottomissione. Dopo una breve ribellione ai Musulmani nell'868 e la inevitabile riconquista araba, Reusa accettò i nuovi dominatori e il suo nome divenne Rakkusa o "Ragus". Gli Arabi, nel corso dei due secoli di dominazione migliorarono non solo l'agricoltura, ma incrementarono anche i commerci e le industrie e quindi il benessere sociale; prezioso fu anche il contributo che diedero nel campo artistico e della cultura in genere.
Ai Saraceni seguirono i Normanni che, scesi in Sicilia nel 1060, completarono in trent'anni la conquista dell'intera isola e Ragusa, divenuta contea, fu assegnata da Ruggero I al figlio Goffredo, primo conte di Ragusa. In questo periodo il nome di Ragus divenne definitivamente Ragusa.
Divenuta poi la Sicilia terra degli Svevi con Enrico VI, la contea di Ragusa divenne demanio del re. Al periodo della dominazione sveva segui quella francese con Carlo d'Angiò, che comunque durò poco, perché il suo malgoverno scatenò la rivolta dei Siciliani, culminata nei Vespri Siciliani. A Ragusa la ribellione fu guidata da Giovanni Prefolio, che il 5 aprile 1282 insorse contro il presidio francese liberando la città. Il Prefolio fu nominato governatore della città e, quando Pietro d'Aragona fu chiamato dai Siciliani a regnare sull'Isola, Ragusa divenne contea e il Prefolio ne assunse il comando. É in questo periodo che si impone la famiglia dei Chiaramonte, che governò la contea per piú di un secolo fino all'arrivo dei signori di Cabrera. Uno degli avvenimenti piú ricchi di sviluppo per la contea fu quello della concessione delle terre in enfiteusi a cominciare dal 1452. Consisteva in un contratto agrario che assicurava al titolare il godimento di un fondo con l'obbligo di migliorarlo, dietro pagamento di un canone annuo in natura o in denaro. Con l'introduzione di questo istituto iniziò nella contea una vera rivoluzione agricola, poiché ogni enfiteuta cercava di migliorare la propria posizione economica e sociale, incrementando le colture e introducendo quelle opere che accrescevano la produttività dei campi che fino ad allora erano rimasti quasi incolti. I nuovi nobili, assieme ai vecchi, non migliorarono però la situazione del popolo, e le forti rivalità tra le diverse famiglie continuarono per secoli fino a quando il 17 aprile 1695 fu chiesto il decreto di divisione del comune di Ragusa in due, Ragusa Nuova e Ragusa Vecchia. Dopo meno di otto anni, il 27 marzo del 1703, fu chiesto un nuovo decreto con cui suggellare l'unione delle due Raguse in una. Nonostante questa nuova riunione continuarono le lotte interne per la divisione del potere politico e la relativa spartizione delle terre.
Nel 1713, col trattato di Utrecht, la Sicilia passò ai Savoia, anche se la contea di Modica rimase agli Spagnoli, ai quali seguirono gli Austriaci nel 1720 e i Borboni nel 1738.
Con l'impresa garibaldina del 1860, Ragusa e la Sicilia entrarono a far parte del Regno d'Italia. Nel 1865 la città fu nuovamente divisa in due, Ragusa Inferiore, cioè l'antica lbla, e Ragusa, quella nuova.
Nel 1922 Ragusa Inferiore fu chiamata Ragusa lbla, ma solo quattro anni dopo, nel 1926, Ragusa diventava un solo comune e capoluogo di provincia.
ECONOMIA
Dal punto di vista economico la città vanta la presenza di oli essenziali e combustibili liquidi nelle miniere di rocce asfaltiche. Nel 1953 venne trivellato il primo pozzo di petrolio: da allora altri giacimenti sono diventati costantemente produttivi.
Per quanto concerne l'agricoltura un enorme importanza ha assunto, nella zona costiera, in particolare nella frazione di Marina di Ragusa, la serricoltura, mentre nel campo zootecnico é attivo l'allevamento dei bovini della razza modicana, in parte integrata con altre razze.
Accanto all'allevamento dei bovini anche alcuni tipici prodotti favoriscono l'economia locale, come ad esempio il tipico formaggio ragusano, "il caciocavallo".
L'attività agricola nel ragusano avviene soprattutto nella masseria; generalmente molto grande, é costituita da un ampio cortile centrale lastricato, "u bagghiu", il cuore del fabbricato, dai magazzini usati per gli attrezzi, per la raccolta del grano, essendo la masseria ragusana legata contemporaneamente all'allevamento e alla coltivazione dei cereali. Inoltre, nelle masserie piú importanti, si nota anche la presenza di una chiesa. Queste costruzioni, sia le piú semplici sia le piú complete, si inseriscono in modo armonioso nel paesaggio circostante, essendo costruite con il calcare.
Importante prodotto del ragusano è anche il miele, caratteristico quello di "satra", un cespuglio che cresce sugli altopiani. Un certo sviluppo hanno assunto le piccole e medie industrie di trasformazione dei prodotti agricoli e in particolare quelle molitorie, conserviere e lattiero-casearie favorite dalla crescente disponibilità di materie prime.
Tra le piú tipiche e diffuse espressioni di artigianato é presente la lavorazione della latta, del rame e del ferro battuto.
A livello casalingo e amatoriale, é diffusa la pratica del ricamo, a mano o a telaio.
Il popolo siciliano e quello di Ragusa in particolare hanno un ricco calendario di spettacoli tradizionali e feste religiose popolari con processioni e riti, ai quali la gente partecipa con grande entusiasmo. La cerimonia piú singolare é la festa di San Giorgio che si celebra l'ultima domenica di maggio. La chiesa viene addobbata per l'occasione con stendardi, fiori e luci e con la statua del santo posto al centro della chiesa per la venerazione dei fedeli. In quest'occasione si aprono le belle porte scolpite, coperte durante l'anno da due ante. Sono d'obbligo tutte le messe solenni e le pratiche religiose di una festa patronale che cominciano una settimana prima. La statua, non molto pesante, consente ai portatori di danzare quasi a passo di musica, di far girare la statua e di alzarla a braccia fino a lanciarla in aria per poi riprenderla. San Giorgio viene rappresentato vestito da soldato con corazza e lunga lancia, con la quale uccide il drago che gli sta sotto. La statua é preceduta da un'altra portantina sulla quale é posta la "Santa Cassa" in argento lavorato con le reliquie dei santi. La statua viene portata in piazza dove si forma la processione che inizia il giro delle caratteristiche vie di lbla.

Caltagirone – Sicilia

 

LA CITTA'

Asse principale di Caltagirone è la lunga via Roma che, tagliando in due la città, arriva fino ai piedi dell'ormai famosa scalinata di S. Maria del Monte, sua continuazione ideale. Lungo la via si affacciano alcuni tra gli edifici più interessanti, con numerosi esempi di decori in maiolica. Nel tratto iniziale appare, sulla sinistra, la bella cinta della Villa comunale con il Teatrino.

Villa Comunale - E' un bellissimo giardino disegnato verso la metà del secolo scorso da Basile ed ispirato ai giardini inglesi. Il lato che si affaccia su via Roma è delimitato da una balaustrata ornata da vasi con inquietanti volti diavoleschi ai quali si alternano pigne dal verde intenso e lampioncini dai sostegni in maiolica. Il giardino si sviluppa in una serie di sentieri ombreggiati che celano spazi più ampi abbelliti da opere in ceramica, statue, fontane. Il più appariscente è senz'altro lo spiazzo con al centro un delizioso palchetto della musica dalle forme arabeggianti ed ornato da maioliche.

Museo della Ceramica - Il Teatrino, singolare costruzione settecentesca ornata di maioliche, ospita questo interessante museo che permette di ripercorrere la storia della ceramica locale dalla preistoria agli inizi del Novecento. Attraverso i manufatti si scoprono l'evoluzione delle forme e delle decorazioni. La diffusione e l'importanza della lavorazione dell'argilla è attestata da un bel cratere del V sec. a.C, su cui sono raffigurati un vasaio ed un giovane mentre lavorano al tornio.
Particolarmente ben rappresentato il XVII sec, con albarelli dalla decorazione vivace, sui toni del giallo, del blu e del verde, anfore e vasi con medaglioni a soggetto religioso o profano.
Poco oltre, sempre in via Roma, sulla destra si trova la bella balconata di Casa Ventimiglia decorata dall'omonimo maiolicaro calatino nel Settecento. Superato il Tondo Vecchio, esedra in pietra e mattoni, ci si imbatte (a destra) nell'imponente facciata di S. Francesco d'Assisi seguita dall'omonimo ponte maiolicato, che immette nel cuore vero e proprio della città. Oltre la chiesetta di S. Agata, sede della confraternita dei maiolicari, si trova l'austero carcere borbonico.

Carcere Borbonico - E' un edificio dalla mole imponente e squadrata che il recente restauro ha valorizzato nuovamente. In pietra arenaria, venne progettato alla fine del '700 dall'architetto siciliano Natale Bonajuto ed adibito a carcere per circa un secolo. Attualmente ospita al suo interno un piccolo museo civico che permette di scoprirne anche le massicce strutture interne.
Museo Civico - La visita inizia al 2° piano con una mostra permanente di opere contemporanee in ceramica. In una sala è conservato il fercolo di S. Giacomo in legno dorato ed argento (fine XVI sec.), utilizzato fino aI 1966 per la processione del 25 luglio. Si notino i volti delle cariatidi, dai tratti delicati. La 3° sala è dedicata ai Vaccaro, due generazioni di pittori attivi nel XIX sec. Particolamente belli lo stesicoro di Francesco e Bambina che prega di Mario. Al 1° piano è ospitata la Pinacoteca che raccoglie opere di artisti siciliani.

Piazza Umberto I - Vi si affaccia il Duomo di S. Giuliano, edificio barocco che ha subìto notevoli rimaneggiamenti, tra i quali il più rilevante è la sostituzione della facciata agli inizi del '900. Si giunge in vista dell'ormai famosa scala di S. Maria del Monte, ai piedi della quale, sulla sinistra, si erge il Palazzo Senatorio con alle spalle la Corte Capitaniale, bell'esempio di edificio civile (1601) opera dei Gagini. A destra, una scalinata permette di raggiungere la Chiesa del Gesù con, all'interno, una Deposizione di Filippo Paladini (3° cappella a sinistra). Alle spalle dell'edificio si trova la Chiesa di S. Chiara, la cui elegante facciata è attribuita a Rosario Gagliardi (XVIII sec.). Subito oltre, l'edificio di inizio Novecento dell'Officina elettrica deve la facciata ad Ernesto Basile,
Ritornare in piazza Umberto.

Scala di S. Maria del Monte - La scala costituisce il punto di collegamento tra la città vecchia (superiore), sede nel '600 del potere religioso, e la parte nuova, ove invece erano raccolti gli edifici civili. Ai due lati si estendono i due vecchi quartieri di S. Giorgio e di S. Giacomo che racchiudono, nelle intricate viuzze, begli edifici religiosi. I 142 gradini in lava sono decorati, sull'alzata, da belle formelle in maiolica policroma che alternano motivi geometrici, floreali, decorativi e ispirati al mondo animale in un succedersi di reminiscenze arabe, normanne, spagnole, barocche e contemporanee. Una volta l'anno la scala brilla di fiammelle colorate che formano "quadri" ogni volta differenti: riccioli, volute, disegni floreali, figure femminili, o il più ricorrente simbolo della città, un'aquila con sul petto uno scudo crociato. Sono le notti di S. Giacomo, il 24 e 25 luglio, quando migliaia di lumini racchiusi in involucri rossi, gialli o verdi vengono disposti sulla scala ed accesi.
In cima alla scala. S. Maria del Monte, chiesa matrice, sede antica del potere religioso. All'altare maggiore si trova la Madonna di Conadomini, tavola del XIII sec.

I quartieri di S. Giorgio e di S. Giacomo - Ai piedi della scala, via L. Sturzo, sulla destra, è fiancheggiata da alcuni bei palazzi, tra cui Palazzo della Magnolia (al n° 74), dall'esuberante e ricca decorazione floreale in terracotta, opera di Enrico Vella. Subito oltre si trovano le due chiese ottocentesche di S. Domenico e del SS. Salvatore, al cui interno si trova il Mausoleo di Don Luigi Sturzo ed una Madonna col Bambino di Antonello Gagini. Alla fine di via Sturzo si giunge alla Chiesa di S. Giorgio (XI-XIII sec.) ove è conservata la tavola del Mistero della Trinità attribuita al fiammingo Roger van der Weyden.
Il proseguimento ideale di via Sturzo, ma dalla parte opposta rispetto alla scala, è via Vittorio Emanuele che conduce alla Basilica dl S. Giacomo, patrono della città, al cui interno si trova la cassa argentea che racchiude le reliquie del santo, realizzata dai Gagini.

OLTRE IL CENTRO

Una passeggiata per i caratteristici quartieri che si nascondono dietro le vie di grande scorrimento può riservare piacevoli ed inaspettate sorprese quali, ad esempio, la facciata neogotica della Chiesa di S. Pietro (nell'omonimo quartiere, a sud-est), decorata da maioliche.

Chiesa del Cappuccini - Situata ai confini orientali della città, la chiesa conserva all'altare, una bella pala di Filippo Paladini raffigurante il trasporto dall'Oriente all'Occidente della Madonna dell'Odigitria portata a spalla da monaci basiliani. Lungo il fianco sinistro dell'unica navata, la Deposizione di Fra' Semplice da Verona, presenta un bel gioco prospettico. Contigua alla chiesa, si trova la Pinacoteca che raccoglie dipinti dal '500 ai nostri giorni. Da qui si ha accesso alla cripta ove si trova un singolare presepe che riunisce i vari momenti della vita di Gesù che vengono successivamente illuminati ed accompagnati da frasi evangeliche. Le statuette sono state realizzate negli anni '90 e sono opera di diversi artisti di Caltagirone.

STORIA

Caltagirone, città della ceramica - Tutto nasce dalla ricchezza di argilla della zona. La facilità di reperire il materiale dà impulso alla lavorazione di manufatti di terracotta, soprattutto vasellame, che serve a rifornire l'intera regione. Questa diviene ben presto una delle principali attività della cittadina. Dai modelli locali si passa a quelli di influsso greco (quando si infittiscono i commerci) ed alla lavorazione, più veloce e precisa, al tornio (sono i Cretesi ad introdurlo, intorno al 1000 a.C.), fino all'arrivo degli Arabi (IX sec.). Sono loro a modificare completamente la produzione. Introducono motivi orientali, ma soprattutto la tecnica dell'invetriatura, processo innovativo utile anche per rendere impermeabile l'oggetto. Si sviluppa un'arte più raffinata, con bei decori geometrici, stilizzati, tratti dal mondo vegetale ed animale. I colori dominanti sono il blu, il verde ed il giallo. A testimonianza dell'importanza della dominazione araba resta anche la radice musulmana del nome della città che nell'ipotesi più intrigante significa Castello o Rocca dei vasi.
Con la dominazione spagnola si modificano i gusti e le committenze. La decorazione è adesso monocromatica (blu, bruna) a motivi floreali o con stemmi nobiliari di famiglie ed ordini religiosi. La città conosce un periodo di particolare floridità, grazie anche ad altre attività della zona: la produzione di miele, qui particolarmente abbondante, fa sì che i mielai siano tra i clienti più assidui delle botteghe di vasai. Ai cannatari (da cannate, i boccali), come erano generalmente chiamati gli artigiani della ceramica, si aggiungono i quartari (da quartare, anfore che derivano il nome dalla loro capacità, corrispondente a 12,5 litri, un quarto di un barile). Riuniti in confraternite, gli artigiani aprono le loro botteghe in una zona piuttosto estesa, a sud della città, entro le mura. Oltre alla produzione di vasellame, a Caltagirone si progettano anche rivestimenti per ornare cupole, facciate di chiese, palazzi e pavimenti. Grandi artisti sono attivi tra il Cinquecento ed il Settecento tra i quali i fratelli Gagini e Natale Bonajuti. I decori sono gli stessi del vasellame: motivi geometrici, floreali e stilizzati tra cui spicca la piccola palma persiana di derivazione toscana (Montelupo). Nel XVII sec. si diffonde anche una decorazione a medaglioni con figure umane ed effigi di santi (tipici di tutta la produzione siciliana), mentre nel secolo successivo vengono introdotti decori plastici che vanno ad ornare le superfici dei vasi in ricche volute e ricami policromi.
L'Ottocento segna invece un periodo di decadenza ravvivato solo dalla produzione di figure, spesso utilizzate come statuine da presepe. La loro creazione vede impegnati, nella seconda parte del secolo, le mani esperte dei Bongiovanni-Vaccaro.

TURISMO

Chi arriva a Caltagirone non può lasciarsi sfuggire una presenza che sembra accompagnare la città: la ceramica, che non solo troneggia all'interno dei negozi in un'euforia di vasi, piatti, suppellettili, ma abbellisce ponti, balaustre, facciate e balconi. E questo a testimonianza di un'arte che, in questa zona, è antica quasi quanto le origini della città.

Dove acquistare
Innumerevoli sono i negozi di ceramiche che si allineano lungo le vie del centro e costeggiano la Scala di S. Maria del Monte. Chi volesse avere una panoramica della produzione locale, può rivolgersi alla Mostra Mercato Permanente in via Vittorio Emanuele, che riunisce i lavori di alcuni artigiani della città.

Dove mangiare
Il ristorante La Scala, all'inizio della scala di S. Maria del Monte sulla destra, è sistemato in un bel palazzo settecentesco che a pianterreno possiede delle stanze ove scorrrono ancora oggi delle acque sorgive che all'epoca erano l'equivalente dell'acqua corrente.

Siracusa e La Penisola di Ortigia

 

 

Città di mare, che nel mare si allunga con l'isola di Ortigia, Siracusa è adagiata lungo una baia armoniosa. Il nome evoca subito il passato greco, i tiranni e la rivalità con Atene e con Cartagine, passato di cui la città conserva numerose testimonianze, questo si affianca un periodo forse meno conosciuto, ma non meno suggestivo, che si rivive percorrendo le stradine dell'isola, dove il tempo sembra essersi fermato in bilico tra Medioevo e Barocco. Subito alle spalle di Ortigia si estende l'Acradina, come veniva chiamata nell'antichità la zona pianeggiante contigua ad Ortigia. E poi la Neaú polis, area "nuova" dove si trova il teatro, l'Orecchio di Dionisio e la latomia del Paradiso, una delle più belle, e, ad oriente, il quartiere di Tyche che ricorda la presenza di un tempio dedicato alla dea Fortuna (dal greco Tyche, il caso). Domina tutta l'Epipoli, custodita e difesa dal castello Eurialo, in posizione elevata e strategica.

ORTIGIA

Giace de la Sicania al golfo avanti
un'isoletta che a Plemirio ondoso
è posta incontro, e dagli antichi
è detta per nome Ortigia...
Virgilio, Eneide, Canto III.

Data la ricchezza di palazzi e di scorci interessanti, diviene impossibile segnalare un percorso lineare che comprenda tutto ciò che merita di essere visto. Qui di seguito si nominano quindi solo le vie di maggior interesse lasciando alla fantasia ed alla voglia di chi si addentra in questi angoli di storia, l'emozione della scoperta dei particolari. Un consiglio: viaggiate con il naso all'insù, per non perdere i segreti che queste stradine, con i loro palazzi, racchiudono.

Uno sguardo alla costa...
L'isola, l'insediamento più antico della città, è legata alla terraferma dal Ponte Nuovo, prolungamento di c.so Umberto I, una delle principali arterie di Siracusa. Qui la sensazione del mare si fa più forte fin dalla darsena che si stende sia a destra che a sinistra del ponte ed è animata da barche colorate. Lasciando vagare lo sguardo lungo la banchina si nota a destra, proprio sull'angolo, un bel palazzo in stile neogotico: l'intonaco rosso e le bifore della dimora del poeta e scrittore Antonio Cardile (ME 1883-SR 1951) invitano il visitatore a proseguire il peniplo dell'isola. L'atmosfera che si respira è più calma e pacata ed i rumori sembrano giungere attutiti. Sulla destra il mare, sulla sinistra le antiche mura spagnole che testimoniano come un tempo (fino al 1800) tutta la città vecchia fosse fortificata. La Porta Marina, la cui lineanità è spezzata da una bella edicola in stile catalano, immette nel passeggio Adorno, creato sopra le mura nel XIX sec. Oltre, lo sguardo abbraccia l'immensa distesa del Porto Grande, in passato teatro di imponenti battaglie.

Fonte Arethusa - Sorgente di acqua dolce, ebbe nell'antichità un ruolo determinante per l'insediamento del primo nucleo di abitanti. L'esistenza della fonte è legata ad una leggenda. Arethusa, ninfa di Diana perseguitata dall'amore del cacciatore Alfeo, chiede aiuto alla dea che la fa fuggire lungo una via sotterranea. Raggiunta così l'isola di Ortigia, la ninfa si trasforma in fonte. Alfeo però non si perde d'animo e, trasformatosi in fiume sotterraneo, passa lo Ionio fino a raggiungere Ortigia dove mescola le sue acque con quelle di Arethusa.
Oggi nella fonte, tra papiri e palme, nuotano anatre e papere.
Il fronte delle case, dai colori pastello, rende l'armoniosa continuità che pervade anche le vie interne. Appare sulla punta estrema dell'isola la mole del Castello Maniace (non visitabile). Fortezza in pietra arenaria costruita da Federico II di Svevia nella prima metà del XIII sec. lI nome è quello del generale bizantino Giorgio Maniace che nel 1038 cerca di sottrarre Ortigia agli Arabi, fortificando l'isola ed in particolare il luogo dove poi Federico II riedificherà il castello. La struttura squadrata e massiccia è tipica della tipologia costruttiva sveva. Alcuni elementi architettonici testimoniano come il castello probabilmente avesse funzione difensiva, ma anche di rappresentanza. Proseguendo si raggiunge la riviera di Levante da cui si gode di una bella vista del Castello (la migliore resta quella che si gode dal mare). Si supera la Chiesa dello Spirito Santo, dalla bella e bianca facciata a tre ordini raccordati da volute e scandita da lesene, e si raggiunge, lasciato alle spalle anche il Forte Vigliena, il Belvedere S. Giacomo, un tempo baluardo difensivo, da dove si gode di una bella vista su Siracusa.

...ed una passeggiata nell'interno
Piazza Duomo
- Dalla forma irregolare e leggermente tondeggiante lungo il lato che fronteggia la cattedrale, quest'incantevole piazza si permea di un'atmosfera particolarmente suggestiva al tramonto ed al calare della notte, quando viene illuminata. E' delimitata da bei palazzi barocchi tra i quali spiccano la notevole facciata di Palazzo Beneventano del Bosco, dalla bella corte interna, con di fronte il Palazzo del Senato (nel cui cortile è custodita una Carrozza del Senato del XVIII sec.) e la Chiesa di S. Lucia a chiudere il lato corto.

Duomo - Il sito ove sorge il Duomo viene destinato fin dall'antichità ad ospitare un luogo di culto. Ad un tempio eretto nel VI sec. a.C. si sostituì il Tempio di Atena, innalzato in onore della dea con i proventi della fatidica e schiacciante vittoria ad Himera (480 a.C.) contro i Cartaginesi. Il tempio viene inglobato, nel VII sec., in un edificio cristiano: vengono innalzati muri a chiudere lo spazio tra le colonne del penistilio e vengono aperte otto arcate nella cella centrale per permettere il passaggio alle due navate laterali così ottenute. Le imponenti colonne doniche sono ancora oggi visibili sul lato sinistro, sia all'esterno che all'interno dell'edificio. Forse trasformata in moschea durante la dominazione araba, la chiesa viene rimaneggiata in epoca normanna. Il terremoto del 1693 causò il crollo della facciata che viene rifatta in forme barocche (XVIII sec.) dal palermitano Andrea Palma che utilizzò come modulo compositivo basilare la colonna. L'ingresso è preceduto da un atrio con un bel portale fiancheggiato da due colonne a torciglioni lungo le cui spire si avvolgono rami d'uva.
All'interno, il lato destro della navata laterale è delimitato dalle colonne del tempio, che oggi danno accesso alle cappelle. Nella 1° cappella di destra è conservato un bel fonte battesimale formato da un cratere greco in marmo sostenuto da sette leoncini in ferro battuto del XIII sec.
La cappella di S. Lucia presenta un bel paliotto argenteo del '700. Nella nicchia è conservata la statua argentea della santa, opera di Pietro Rizzo (1599). La cattedrale raccoglie molte statue dei Gagini tra cui quella della Vergine (di Domenico) e di S. Lucia (di Antonello) lungo la navata laterale sinistra e la Madonna della Neve (di Antonello) nell'abside sinistra.
A nord della piazza, in via Landauna, si trova la Chiesa dei Gesuiti, dall'imponente facciata.

Galleria Civica d'Arte Contemporanea - Ospitata nell'ex-convento e chiesa di Montevergini (ingresso da via delle Vergini), la collezione raccoglie opere principalmente pittoriche di artisti contemporanei sia italiani che stranieri (Sergio Fermaniello, Marco Cingolani, Aldo Damioli, Enrico De Paris).

Galleria Regionale di Palazzo Bellomo - Palazzo Bellomo, sorto in periodo svevo (XIII sec.), viene ampliato e sopraelevato nel corso del XV sec. Si delineano così i due stili differenti: al piano inferiore portale ad arco ogivale e feritoie che lo rendono simile ad una fortezza: trifore sorrette da esili colonnine a quello superiore. Dapprima palazzo privato, passò nel '700 alle monache dell'attiguo monastero di S. Benedetto oggi totalmente inglobato nella struttura museale. Contigua al palazzo è ancora visibile la Chiesa di S. Benedetto dal bel soffitto a cassettoni. L'interno del palazzo presenta al centro un bel cortile porticato su cui si affaccia la scala che conduce al piano superiore. Il parapetto è ornato nella fascia alta da trafori a rosa e trilobati. Alla fine della prima rampa si trova una bella edicola in stile flamboyant.
Il museo - E' dedicato in massima parte all'arte siciliana. Chiaro lo stile bizantino di una bella serie di dipinti cretesi-veneziani (sala IV) raffiguranti la creazione del mondo (sei tavole), il peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre. Il piano superiore è prevalentemente dedicato alla pittura. Il pezzo più interessante è certamente la bella, ma rovinata Annunciazione di Antonello da Messina. Come in molti altri dipinti di questo artista si denota il gusto fiammingo per i particolari (il manto del santo, il paesaggio popolato di personaggi oltre la finestra) a cui si unisce il rigore formale, compositivo e prospettico italiani. Il seppellimento di S. Lucia, di Caravaggio, è forse ambientato nel sepolcro della santa all'interno delle omonime catacombe. Lo stile drammatico e provocatorio che caratterizza l'opera di questo artista si delinea nella stessa scelta compositiva: la folla di persone che si accalca alle spalle del corpo della santa, per terra, è dominata dalle figure dei becchini, delle quali una, imponente ed in primo piano, è di spalle. E la luce proietta ombre inquietanti.
Il museo presenta inoltre una serie di oggetti artistici tra cui arredi e paramenti sacri, presepi, mobili e ceramiche.
Poco lontano, in via S. Martino, l'omonima chiesa, il cui impianto originario risale al VI sec., conserva un portale in stile gotico-catalano.

Palazzo Mergulese-Montalto - E' un bellissimo palazzo, purtroppo non in ottime condizioni, la cui costruzione risale al XIV sec. La facciata si scandisce in due ordini divisi da un marcapiano dentellato. La parte superiore è ornata da superbe finestre elaborate, racchiuse da archi dal ricco intaglio e suddivise da esili colonnine tortili. Al piano inferiore si apre il portale ad arco acuto sormontato da una bella edicola. Dal palazzo si può raggiungere la vicina piazza Archimede, di formazione più recente. Animata al centro dall'ottocentesca fontana di Artemide, è delimitata da bei palazzi.
Dalla piazza nasce via della Maestranza.

Via della Maestranza - E' una delle vie principali e più antiche di Ortigia ed è fiancheggiata da abitazioni nobili di aspetto barocco di cui, qui di seguito, segnaliamo le più significative. Al n° 10 il Palazzo Interlandi Pizzuti e, poco più avanti, Palazzo Impellizzeri (n° 17), che presenta una facciata ritmata da finestre e balconi dalle linee sinuose. Poco oltre, Palazzo Bonanno (n° 33), sede dell'Azienda Autonoma di Turismo, è una severa costruzione medievale dalla bella corte con una loggia al primo piano. Al n° 72 si eleva l'imponente Palazzo Romeo Bufardeci, dall'esuberante facciata con balconi rococò. La via si apre poi in una piazzetta coronata dalla Chiesa di S. Francesco all'Immacolata cui si appoggia la torre campanaria risalente all'800. La facciata chiara, convessa, è lineare e scandita da colonne e lesene. La chiesa ospitava, nella notte tra 28 ed il 29 di novembre, un rito di origine antica, la Svelata, durante il quale veniva svelata l'immagine della Madonna. Questo avveniva nelle prime ore dell'alba (per permettere alla gente di recarsi al lavoro che un tempo iniziava prestissimo). Durante la notte una banda musicale annunciava ai fedeli l'inizio della celebrazione. Verso la fine della via si delinea la facciata ricurva di Palazzo Rizza (n° 110). Palazzo Impellizzeri (n° 99) domina la via dall'alto della sua sontuosa ed originale cornice di volti umani e grotteschi sormontata da motivi floreali.
Alle spalle dell'ultimo tratto si stende il Quartiere della Giudecca dalla planimetria antica, con vie serrate e perpendicolari tra loro. Venne abitato dalla comunità ebraica durante il XVI sec., fino alla loro espulsione.

Mastrarua - Oggi via Vittorio Veneto, era un tempo l'arteria principale di Ortigia. Era lungo questa via che il re entrava in città ed era qui che si svolgevano processioni, parate ufficiali e reali. E quindi logico che vi si affacciassero bei palazzi. Alcuni tra i più significativi sono Palazzo Bianco (n° 41). riconoscibile dalla statua di S. Antonio in un'edicola sulla facciata e dal bel cortile interno con scalea, Casa Mezia (n° 47) il cui portale è sormontato da una mensola a forma di grifone, e la Chiesa di S. Filippo Neri seguita dalla lineare facciata di Palazzo Interlandi e da Palazzo Monforte, purtroppo molto rovinato. Quest'ultimo fa angolo con via Mirabella lungo la quale si allineano begli edifici. In particolare, proprio di fronte a palazzo Monforte, si può ammirare l'elegante Palazzo Bongiovanni. Il portone è sovrastato da una maschera sopra la quale, ad aggetto, si trova la figura di un leone che regge un cartiglio recante la data 1772, e che funge da sostegno centrale di un balcone sagomato. La finestra centrale è segnata da volute. Proseguire lungo via Mirabella. Una piccola deviazione a destra permette di ammirare Palazzo Gargallo (oggi sede dell'Archivio Distrettuale Notarile), in stile neogotico. In corrispondenza di piazzetta del Carmine, si incontra anche l'altro Palazzo Gargallo (n° 34), sempre nello stesso stile. Via Mirabella segna anche l'inizio del quartiere arabo, caratterizzato da vicoli, o ronchi, particolarmente stretti. In uno di questi si trova anche la basilica paleocristiana di S. Pietro, oggi auditorium, di cui si può ammirare il bel portale. Sempre in via Mirabella, poco oltre, si incontra la chiesa di S. Tommaso, di origini normanne (XII sec.). Riprendendo la Mastrarua, al n° 111 si incontra un bel portale con esseri mostruosi. Al n° 136,. invece, si trova la Casa Natale di Elio Vittorini (nato il 23 luglio 1908).

Tempio di Apollo - L'edificio, costruito nel VI sec. a. C., è il più antico tempio dorico periptero (racchiuso da colonne) della Sicilia. Secondo un'iscrizione dedicato ad Apollo, secondo Cicerone ad Artemide, è stato trasformato in chiesa bizantina, poi in moschea e di nuovo chiesa sotto i Normanni. Si possono ancora vedere resti di colonne del peristilio e una parte del muro del recinto sacro.
Dalla piazza si diparte Corso Matteotti, passeggio di Ortigia, fiancheggiato da eleganti negozi.

PARCO ARCHEOLOGICO DELLA NEAPOLIS
Vi sono due differenti ingressi: uno situato in via Rizzo e l'altro in via Paradiso. Il percorso qui descritto prevede l'entrata da via Rizzo.

Teatro Greco - E' uno dei più imponenti dell'antichità. La cavea è stata completamente scavata nella pietra sfruttando la naturale pendenza del colle Temenite. La data di costruzione è stata stabilita intorno al V sec. a.C. in base alla notizia della rappresentazione della prima dei Persiani di Eschilo. Ci è giunto anche il nome del probabile costruttore: Damocopo, detto Myrilla per aver utilizzato unguenti (miroi) all'inaugurazione del teatro.
Il teatro viene modificato da Ierone II nel III sec. a.C.: divisa in nove cunei, la cavea è percorsa, a metà circa, da un corridoio. Lungo la parete, in corrispondenza di ogni settore, viene inciso il nome di una personalità o di una divinità. Ancora oggi è possibile distinguere le lettere che formano il nome di Giove Olimpio (DIOS OLYMPIOS ) nel cuneo centrale e, proseguendo a destra, fronte alla scena, quelli dello stesso Ierone II (BASILEOS IERONOS), della moglie Filistide (BASILISSAS FILISTIDOS), e della nuora Nereide (BASILISSAS NEREIDOS). Adattato in epoca romana per giochi d'acqua (si suppone) e combattimenti fra gladiatori prima della costruzione dell'anfiteatro, lo spazio viene utilizzato anche in epoche successive in modo improprio. Gli spagnoli infatti vi impiantano dei mulini ad acqua.
Nel settore centrale della cavea sono ancora visibili i solchi lasciati da due macine ed il canale di scolo dell'acqua. Alle spalle della cavea si trova un grande spiazzo su cui si apre, al centro, la cosiddetta Grotta del Ninfeo con vasca rettangolare ravvivata dalle acque di un acquedotto greco che corre per circa 35 km e nasce dal Rio Bottiglieria, affluente del fiume Anapo, nella zona di Pantalica. In disuso durante il Medioevo, nel XVI sec, l'acquedotto viene riattivato dal marchese di Sortino per alimentare i mulini impiantati nel teatro. Sulla sinistra si apre la Via dei Sepolcri. Nelle pareti che la fiancheggiano sono scavati ipogei di epoca bizantina e nicchie votive che servivano, appunto, per depositare offerte.
Ancora oggi al teatro vengono messi in scena spettacoli classici greci e latini che si svolgono durante l'estate (in giugno, tutti gli anni pari).

Orecchio di Dionisio - Questa suggestiva grotta si trova in una delle più belle latomie di Siracusa, la Latomia del Paradiso, oggi un delizioso giardino ricco di aranci, palme, magnolie. Come evoca il nome, l'aspetto della grotta richiama un padiglione auricolare, sia nella sagoma dell'entrata che nel disegno serpeggiante dell'interno. Fu Caravaggio, durante un suo viaggio in Sicilia agli inizi del '600, ad assegnarle questo nome, affascinato anche dalla leggenda secondo la quale Dionisio il Vecchio, grazie all'eco eccezionale, avrebbe potuto ascoltare, non visto, i suoi nemici.
La levigatezza delle pareti, così alte e regolari, e lo sviluppo interno, quasi labirintico e sempre immerso nella penombra, rendono difficile credere che si tratti di una cava. In realtà, questa particolare conformazione è dovuta alla tecnica di scavo utilizzata: una piccola fenditura nella parte più alta, poi allargata verso il basso (forse seguendo il tracciato di un acquedotto) man mano che si scoprivano strati di ottima pietra. La grotta ha anche un'eccezionale acustica e non è raro imbattersi in una guida, turista o curioso che si cimenta nel canto dando bella prova di sè.
Molte le storie che circolano sulla grotta e sul suo utilizzo una volta terminata: accanto all'ipotesi più veritiera che la vuole adibita a prigione (come tutte le altre latomie) e a quella più fantasiosa di "cornetto acustico" di Dionisio, c'è anche chi sostiene che venisse utilizzata dal coro per gli spettacoli al vicino teatro. Accanto si trova la Grotta dei Cordari, così chiamata perchè utilizzata, fino a poco tempo fa, da questi artigiani per intrecciare la corda in un ambiente piacevolmente fresco. Visibile purtroppo solo dall'esterno (per motivi di sicurezza) fornisce un ottimo esempio delle tecniche di scavo.

Ara di Ierone II - E' un immenso altare, lungo circa 200 m ed in parte ricavato nella roccia, eretto nel III sec. a.C, dal tiranno per i sacrifici pubblici. Di fronte si apriva una grande piazza rettangolare, probabilmente porticata, con al centro una piscina.

Anfiteatro Romano - E' stato costruito in epoca imperiale sfruttando la conformazione del terreno che ha permesso di ricavare, direttamente nella roccia, metà della cavea. E' la parte meglio conservata. L'altro emiciclo invece era formato da grossi conci di pietra riutilizzati nelle epoche successive. Si possono ancora distinguere i due ingressi, uno a sud ed uno a nord. Al centro dell'arena si apre un vano rettangolare collegato all'entrata sud tramite un fossato. Era uno spazio "tecnico" destinato ai macchinari scenici per la realizzazione di effetti speciali durante gli spettacoli.
Di fronte all'ingresso all'anfiteatro si trova la chiesetta preromanica di S. Nicolò dei Cordari (XI sec.) sul cui lato destro è visibile la piscina romana utilizzata per allagare l'anfiteatro in occasione delle naumachie e per pulire l'arena al termine dei combattimenti tra gladiatori e belve feroci.

Tomba di Archimede - Visibile solo dall'esterno da via Romagnoli, angolo via Teracati. All'estremità orientale della Latomia Intagliatella si estende la Necropoli Grotticelli. Tra le cavità ricavate nella roccia, se ne evidenzia una particolare, dall'entrata abbellita da colonne doriche (molto rovinate) e da un frontone a timpano. E' la cosiddetta Tomba di, Archimede, in effetti un colombario (ambiente con nicchie destinate ad accogliere urne funerarie) di epoca romana.

Le Latomie

Le latomie, dal greco litos: pietra e temnos: taglio, sono le antiche cave da cui venivano ricavati i blocchi di pietra calcarea utilizzati per la costruzione di edifici pubblici e grandi dimore. Dopo aver scelto la zona che offriva la possibilità di estrarre conci regolari e di buona qualità, si dava inizio allo scavo. Per estrarre la pietra si ricavavano delle fenditure nelle quali venivano inseriti cunei di legno. Si provvedeva poi a bagnare il legno che aumentava così di volume spaccando la pietra.
Per trovare strati di pietra più compatta, lo scavo veniva condotto in profondità, mediante l'apertura di grotte sempre più imponenti. Per sostenere la volta di copertura di queste cavità, venivano lasciati pilastri ricavati dalla roccia stessa. Si calcola che in questo modo fosse possibile ottenere quantità impressionanti di materiale. Una volta terminato lo scavo questi ambienti venivano utilizzati come prigioni, come riferisce anche Cicerone nelle Verrine. E' molto probabile che il luogo in cui vennero segregati i 7000 Ateniesi fatti prigionieri nel 413 a.C. fossero proprio le latomie. Rinchiusi per otto mesi, perirono tutti, tranne alcuni che ebbero la fortuna di essere venduti come schiavi e pochi altri che, narra la leggenda, seppero citare i versi di Euripide a memoria. Si deve inoltre pensare che a quei tempi l'aspetto delle grotte era sicuramente diverso: esse erano più ampie, più tetre e più adatte allo scopo, mentre quello che vediamo oggi è il risultato di crolli dovuti soprattutto a scosse telluriche. Nelle epoche successive questi spazi vennero invece utilizzati per cerimonie funerarie, come rifugio e poi come aree coltivabili e solo ultimamente si è pensato di rivalutarne l'importanza storica e recuperarle.
Tracciando una mappa di tutte le latomie (ne sono state individuate 12, ma alcune sono state " seppellite" dalle costruzioni), si nota che esse si dispongono lungo una sorta di arco che corrisponde al profilo della terrazza calcarea che si eleva approssimativamente al confine dei due antichi quartieri di Neapolis e Tyche.
La più suggestiva è la Latomia del Paradiso che si trova nel Parco Archeologico. Si tratta in effetti di un insieme di cave attorno alle quali è sorto un delizioso giardino. Dall'alto (di fianco al teatro greco) si riesce ad avere una visuale complessiva ed a distinguere alcuni dei pilastri che sorreggevano la volta di copertura delle grotte, crollata in seguito a movimenti tellurici.
Procedendo lungo la linea, verso est, si incontrano la Latomia Intagliatella, la Latomia di S. Venera, la Latomia del Casale e la Latomia dei Cappuccini, forse la più grandiosa e spettacolare grazie alle alte pareti scoscese.

MUSEO ARCHEOLOGICO REGIONALE PAOLO ORSI

Situato, quasi nascosto alla vista, nel parco di Villa Landolina, il museo rappresenta uno dei punti di riferimento fondamentali per la conoscenza del periodo preistorico della Sicilia fino ai tempi delle colonie di Siracusa.
La visita si articola lungo un percorso che segue la nascita e lo sviluppo delle varie fasi in ordine cronologico. Le tre sezioni principali, ben strutturate, sono correlate da una zona introduttiva centrale, sotto la quale, nell'interrato, si trova un auditorium nel quale vengono proiettati audiovisivi (programmazione all'entrata).

Settore A: preistoria e protostoria - Aprono la visita le raccolte di materiale fossile e di minerali, scheletri e resti di animali preistorici corredati di ampie schede informative sulla fauna insulare. Si passa quindi alle testimonianze umane nel paleolitico e neolitico e alle varie culture susseguitesi. Si tratta soprattutto di manufatti in ceramica tra i quali emerge un grande vaso su un piede molto alto della cultura di Pantalica: in ceramica monocroma rossa e lucida ha una linea molto semplice ed elegante. Chiudono questa prima parte i "ripostigli", insieme di oggetti di bronzo (punte di lance, cinturoni, fibbie) racchiusi in un contenitore e nascosti alla vista (sottoterra o in un anfratto).

Settore B: la colonizzazione greca - Vengono presentati reperti che testimoniano la nascita e lo sviluppo delle colonie greche nella Sicilia orientale. Tre sono le colonie ioniche: Naxos, Katane e Leontinoi. Da quest'ultima proviene il bel Kouros acefalo in marmo. Due invece le colonie doriche: Megara Hyblaea e Siracusa, particolarmente rappresentate. La singolare statua della Dea Madre che allatta due gemelli (VI sec. a.C.), in calcare, proviene dalla necropoli di Megara Hyblaea. Acefala, seduta, ha un corpo imponente e materno che si allarga ad accogliere e contenere i due neonati che sembrano quasi divenire un tutt'uno con lei. La collezione dedicata a Siracusa è molto ricca e comprende due dei reperti più spesso riprodotti: la lastra fittile a bassorilievo policromo di una gorgone, proveniente dal Temenos deIl'Athenaion, ed il cavallino in bronzo, simbolo del museo, ritrovato nella necropoli del Fusco. Prima della sezione dedicata alla colonia di Siracusa è esposta (provvisoriamente) la Venere Anadiomede, detta Venere Landolina dal nome dello scopritore. Copia romana di un originale di Prassitele largamente utilizzato come modello nell'antichità (Venere Medici, Venere Capitolina), ha linee sinuose e gentili. La grazia del gesto con cui sorregge il drappo è sottolineata dal delicato panneggio plissettato che sembra suggerire, nella forma, una conchiglia.

Settore C: subcolonie e centri ellenizzati - La prima parte, dedicata alle subcolonie di Siracusa, presenta belle figure antropomorfe tra cui quella di un cavaliere a cavallo. La seconda invece illustra la storia dei centri minori. Spicca la grande figura fittile di Demetra o Kore assisa in trono, opera della seconda metà del VI sec. a.C. L'ultima parte è dedicata ad Agrigento e Gela. Da quest'ultima provengono l'imponente maschera di Gorgone dipinta, elemento del fregio decorativo di un tempio ed una bella pelike attica a figure rosse, opera di Polignoto.
Tre statuette arcaiche in legno provenienti da Palma di Montechiaro costituiscono un raro esempio di arte votiva probabilmente diffusa, ma poco testimoniata a causa della deperibilità del materiale con cui veniva creata.

A PASSEGGIO PER "TYCHE" E "ACRADINA"

Museo del Papiro - La riscoperta del papiro a Siracusa è da attribuirsi a Saverio Landolina che, nel XVIII sec., rivaluta la presenza della pianta, utilizzata fino a quel momento a scopo decorativo dalla popolazione locale, e riesce a riprodurre il processo di fabbricazione della carta (nel museo ve ne sono parecchi esempi).
Il materiale esposto nel museo copre tutti gli ambiti di utilizzo del papiro, dagli scritti di epoca faraonica (tra cui alcuni frammenti del Libro dei Morti), ai manufatti in corda, ai ventagli, alle stesse varietà della pianta, alle imbarcazioni leggere, adatte soprattutto alle zone paludose, con estremità leggermente rialzate ed ancora utilizzate per caccia e pesca da alcune popolazioni africane. L'ultima parte è dedicata alla carta: dalla sua fabbricazione (ricostruzione di un tavolo da lavoro) ai pigmenti e strumenti utilizzati dallo scriba.

Catacombe di S. Giovanni - Sorgono nella zona di Acradina, che fin dal periodo romano è stato luogo deputato al culto dei morti. Al contrario delle catacombe romane, scavate in fragile tufo e quindi forzatamente anguste (per scongiurare il pericolo di crolli), quelle siracusane sono state scavate in uno strato di solida roccia calcarea che permise il crearsi di ampi spazi.
Le Catacombe di S. Giovanni, sorte intorno alla tomba di S.Marciano, uno dei primi martiri, hanno una struttura complessa e risalgono al IV-V sec. Si costituiscono intorno ad un rettilineo principale ricavato seguendo il tracciato di un acquedotto greco probabilmente in disuso. Da esso si staccano, ad angolo retto, i cardini minori. I sepolcri si trovano lungo le pareti e sono ad arcosolio e polisomi, cioè a più "posti", fino ad un numero massimo di venti. Tra l'uno e l'altro si trovano loculi più piccoli e meno profondi destinati ai bambini. Ad intervalli si aprono aree circolari o quadrate, utilizzate dai cristiani come camere sepolcrali di martiri e santi. Tra queste la più nota è la Rotonda di Adelfia, ove è stato ritrovato un bellissimo sarcofago scolpito con scene bibliche (in attesa di collocazione probabilmente al 2° piano del Museo Archeologico). Lungo il tracciato si incontrano inoltre cisterne coniche di epoca greco-romana trasformate poi in cubicoli.

Cripta di S. Marciano - Si trova vicino alla necropoli, ove si suppone sia stato ucciso il martire. A croce greca è circa 5 m sotto il livello del terreno. La parete di fondo si apre in tre piccole absidi semicircolari. In quella di destra si trova l'altare dove si dice abbia predicato l'apostolo Paolo al suo ritorno da Malta, nel 60 d.C (Atti degli Apostoli, cap. 28, 12). Di fianco, sul lato destro si trova un sepolcro in muratura che la tradizione identifica come quello del martire. Si tramanda che la finestrella sul lato permettesse ai fedeli di vedere e passare un panno sul corpo del santo per poi conservarlo come reliquia. Ai quattro angoli della volta centrale si elevano pilastri sormontati da capitelli bizantini con la raffigurazione dei quattro evangelisti.

Basilica di S. Giovanni Evangelista - Sorge sopra la cripta. Diroccata e scoperchiata, è uno dei luoghi più affascinanti di Siracusa e la suggestione si fa più intensa al tramonto soprattutto dei giorni festivi, al momento delle celebrazioni religiose. Le origini della basilica sono legate alla cripta del martire, sopra la cui sepoltura si era soliti edificare un luogo di culto. Distrutta dagli Arabi, la basilica è stata ripristinata dai Normanni. La facciata della chiesa normanna, ornata di un bel rosone, è ancora visibile lungo il lato sinistro. Il terremoto ha distrutto gran parte della chiesa e ha fatto crollare il tetto, non più ricostruito. Il portico che precede la facciata è una ricostruzione fatta utilizzando materiale deI '400.
All'interno l'altare principale, fiancheggiato da un'euforbia a candelabro, è bizantino.

Basilica di S. Lucia extra Moenia - Si affaccia sull'omonima piazza, grande spazio rettangolare pervaso di tranquillità. La tradizione vuole la sua edificazione nello stesso luogo del martirio della santa awenuto nel 303 e testimoniato dalla tela di Caravaggio (oggi a palazzo Bellomo). Bizantina, è stata rimaneggiata in seguito, fino alla sua forma attuale, che risale al XV-XVI sec. Le parti più antiche ancora esistenti sono il portale della facciata, le tre absidi semicircolari e i primi due ordini del campanile (XII sec.). Il soffitto ligneo a capriate con decorazioni dipinte risale al XVII. Sotto la chiesa sussistono le Catacombe di S. Lucia (non visitabili), presenza che avvalorerebbe la tesi del martirio in questi luoghi.
Sulla stessa piazza, un piccolo edificio ottagonale, opera di Vermexio, è il sepolcro destinato alla Santa, i cui resti, portati a Costantinopoli nell'XI secolo dal generale bizantino Maniace, poi a Venezia in seguito alla presa della città durante la quarta crociata, sono oggi conservati nel Duomo.

Santuario della Madonna delle Lacrime - Visibile fin da lontano per la sua struttura conica in cemento armato, imponente (80 m di diametro alla base per 74 di altezza) e singolare, il santuario è nato in seguito ad un evento prodigioso awenuto nel 1953 (la lacrimazione di un quadro della Madonna) ed è meta oggi di numerosi fedeli. E opera degli architetti francesi M. Andrault e P. Parat e dell'italiano R. Morandi che si è occupato della parte strutturale. All'interno la vertiginosa sensazione di altezza viene sottolineata e valorizzata dalle linee verticali e dalle strette finestre che corrono verso l'apice.

Ginnasio Romano - Si trova lungo via Elorina, poco oltre il Foro Siracusano, e, come quest'ultimo. faceva parte dell'antica agorà di Acradina. La denominazione è errata. Si tratta in realtà di un edificio complesso formato da un quadriportico, un piccolo teatro di cui sono ancora visibili i gradini della cavea ed un tempietto marmoreo che costituiva la scena.

"EPIPOLI"

Castello di Eurialo - Lungo via Epipoli, in località Belvedere, a 9 km ca a nord-ovest. La strada che raggiunge la fortezza, permette di rendersi conto dell'imponente aspetto difensivo che la città assume sotto Dionisio il Vecchio. L'abile stratega, oltre a fortificare Ortigia. decide di cingere la città di mura inglobando anche i due quartieri di Tyche e Neapolis, fino a quel momento extra-moenia. e quindi facili prede di attacchi. In quest'ottica dà inizio alla costruzione delle imponenti mura dionigiane (27 km) lungo l'altopiano dell'Epipoli, che racchiude a nord la città. La cinta era costituita da due pareti parallele di blocchi squadrati di pietra calcarea il cui interstizio era riempito di pietrame. Alta 10 m e larga circa 3 m. era provvista di postierle che assicuravano il passaggio senza offrire al possibile nemico un facile punto di attacco, come invece potevano essere le porte (proprio per questo erano affiancate da torri difensive). Un tratto delle mura è visibile lungo la strada che conduce a Belvedere (sulla sinistra).
Sulla sommità dell'altipiano viene edificato il castello, chiamato Eurialo dal nome del promontorio su cui sorge, a forma di testa di chiodo (gr. Euryelos). La fortezza è una delle più imponenti dell'antichità. Tre erano i fossati da superare prima di giungere al mastio, cuore della fortezza, e percorsi da gallerie sotterranee che rendevano impossibile controllare il passaggio delle guarnigioni e dei rifornimenti e facilitavano lo sgombero dei materiali che i nemici gettavano nei fossati, Il nemico, se mai fosse riuscito ad entrare, sarebbe rimasto disorientato. L'ingresso della zona archeologica coincide con il primo di quei fossati. Poco più avanti si delinea il secondo, profondo, dalle pareti verticali ed infine il terzo, vera e propria opera strategica. Quest'ultimo presenta tre piloni alti e ben squadrati che testimoniano l'esistenza di un ponte Ievatoio comunicante con l'area del mastio. Il lato orientale è percorso da una serie di gallerie comunicanti una delle quali, lunga addirittura 200 m, giungeva fino alla porta a tenaglia (Tripylon), una delle uscite della fortezza. Lungo il lato occidentale del fossato si aprivano invece dei vani adibiti a deposito per le vettovaglie.
Alle spalle si erge il mastio quadrato, preceduto da un imponente schieramento di cinque torri difensive. Oltre il mastio si penetra in un recinto con ancora visibili, sulla destra, tre cisterne quadrate. Sulla punta estrema, si gode di un bel panorama su Siracusa (di fronte) e, a sinistra, sulla piana.

FUORI CITTA'

Tempio di Giove Olimpico - Lungo via Elorina, a circa 3 km dalla città, alla fine di una stradina che si diparte sulla destra (indicazione).
In posizione panoramica, leggermente sopraelevato, il tempio è stato costruito intorno al VI sec. a.C. L'aspetto, grandioso, doveva essere pari all'importanza che l'edificio rivestiva.

Fonte Ciane - 8 km a sud-est. La foce del Ciane, che quasi si unisce al vicino fiume Anapo, principale collegamento con la zona interna di Pantalica è il punto di partenza per l'escursione in barca che permette di risalire un tratto del corso d'acqua. Appena partiti si giunge in vista del porto grande di Siracusa (bel panorama) per poi proseguire lungo un tratto ove la vegetazione è ricca di canne, frassini secolari ed eucaliptus. Poi, oltre una chiusa, ci si immerge in una rigogliosissima "folla" di papiri che si china sull'acqua. E' qui che secondo il mito la ninfa Ciane, legata ad Anapo, si oppone al rapimento di Persefone da parte di Ade e viene per questo tramutata in sorgente.

STORIA

Colonizzata intorno all'VIII sec. a.C. dai Greci di Corinto che si stanziano sull'isola di Ortigia. Siracusa cade ben presto in mano a tiranni. Al momento del suo massimo splendore (V-IV sec. a.C.) la città conta circa 300.000 abitanti e domina la Sicilia. Tra il 416 ed il 413 si scatena un furioso conflitto tra Siracusa ed Atene, i cui guerreri sono capeggiati da Alcibiade. E' uno degli episodi più famosi e cruenti della storia antica. Passata ai Romani, viene poi occupata dai barbari, dai Bizantini, dagli Arabi e dai Normanni.

I tiranni di Siracusa - Il tiranno, figura antica che corrisponde all'odierno dittatore, è uno dei personaggi che spesso si incontra ripercorrendo la storia della Sicilia in periodo ellenistico ed in particolare di Siracusa. Gelone, già tiranno di Gela, nel 485 a.C. estende il suo dominio su Siracusa. Le sue mire espansionistiche causano l'ostilità dei Cartaginesi che si trasforma ben presto in aperto scontro. Gelone, alleatosi con Terone, tiranno di Agrigento, riesce a sconfiggerli nella celebre battaglia di Himera (485 a.C.). Gli succede il fratello Ierone che durante il suo governo aiuta Cuma a sbarazzarsi della minaccia etrusca (474 a.C.).
Dopo un breve periodo di democrazia caratterizzato da scontri con Atene, sale al trono il famoso Dionisio il Vecchio (405-367). Stratega accorto, basa il suo governo sul consenso popolare, ottenuto attraverso regalie e favori, e sulla sua figura di difensore contro il pericolo punico, che però non riesce a sgominare. Sotto di lui Siracusa diviene una vera e propria potenza. Da un punto di vista personale, invece, appare come una figura sospettosa, timorosa di complotti contro di lui. Le paure divengono vere e proprie manie di persecuzione e sfociano nella sua volontaria reclusione nel castello di Ortigia, da lui resa fortezza inespugnabile e dimora riservata alla corte. La sua storia è costellata di stranezze che danno adito a numerose dicerie, a metà tra la leggenda e la realtà. Narrano quindi Valerio Massimo, Cicerone e Plutarco che, non fidandosi dei barbieri, il tiranno affida alle figlie il compito di raderlo, ma, intimorito che esse stesse possano ucciderlo, le obbliga ad utilizzare gusci di noci arroventati al posto di coltello e cesoie; fa scavare intorno al talamo nuziale un piccolo fossato con un ponticello che toglie dopo essersi coricato e, per dimostrare come la vita di un regnante sia densa di pericoli, fa appendere sopra il capo di Damocle, cortigiano invidioso, una spada affilata e sostenuta da un semplice crine di cavallo (da qui la locuzione Spada di Damocle utilizzata per esprimere l'incombere di una minaccia). La sua cupidigia lo porta persino, si dice, ad appropriarsi del mantello aureo della statua di Zeus e a farlo sostituire con uno di lana.
Alla sua morte sale il figlio, Dionisio il Giovane, non dotato delle stesse capacità politiche del padre, seguito dal sanguinario Agatocie, che per prendere il potere non esita a massacrare gli aristocratici. Anche il suo tentativo di scacciare i Cartaginesi dalla Sicilia si rivela vano (sconfitta ad Imera nel 310 a.C.)
L'ultimo dei tiranni a governare Siracusa è Ierone II. Nel 212 la città passa nelle mani dei Romani sotto i quali diviene capitale della provincia di Sicilia.

Le distrazioni di Archimede - Della vita di Archimede, celebre matematico nato a Siracusa nel 287 a.C., non si hanno notizie certe. Si narra che fosse così distratto ed assorto nei suoi studi da dimenticare persino di bere e di mangiare. I suoi servitori erano costretti a trascinarlo a forza ai bagni ed anche là continuava a tracciare figure geometriche disegnando nella cenere. E' nella sua vasca da bagno che scoprì il principio che lo rese famoso: un corpo immerso in un liquido riceve una spinta uguale e contraria al peso del volume di liquido spostato. Raggiante si alzò di scatto e uscì di casa correndo ed urlando "Eureka" (ho trovato!).
Si occupò di aritmetica, geometria, fisica, astronomia ed ingegneria. Tra le sue invenzioni meccaniche vi sono la coclea (o vite di Archimede), un cilindro contenente una superficie elicoidale, la ruota dentata, le sfere celesti e gli specchi ustori, un gioco di lenti e specchi con i quali riuscì ad incendiare la flotta romana. Si narra inoltre che quando i Romani riuscirono a penetrare nella città, Archimede, immerso nei suoi calcoli, non se ne accorse e morì trafitto dalla spada di un soldato.

Le muse di Siracusa - Durante il periodo antico la città svolge un ruolo fondamentale per le arti. Molti dei regnanti infatti si interessano anche dell'aspetto artistico ed accolgono poeti e scrittori. C'è anche chi, come Dionisio il Vecchio, si cimenta nello scrivere, pur senza grande successo. Il primo ad interessarsi concretamente all'arte è Ierone I che si proclama protettore dei poeti e riceve alla sua corte artisti del calibro di Pindaro e Eschilo, padre della tragedia antica ed autore dei Persiani (470 a.C ca) e delle Etnee, rappresentati nel teatro greco che sorge nel quartiere di Neapolis. Platone ha con Siracusa, ma soprattutto con i suoi regnanti, un rapporto travagliato. Dionisio il Vecchio lo accoglie a malincuore, per poi espellerlo poco dopo: alla sua morte il filosofo ritorna (protetto dal reggente Dione), ma anche questa volta viene espulso da Dionisio II e fallisce il suo progetto di creare uno stato filosofico. Teocrito, iniziatore di quella poesia bucolica in cui poi brillerà Virgilio, è probabilmente originario della città. In tempi più recenti Siracusa dà i natali a Salvatore Quasimodo (1901-1968), poeta pervaso del malessere di vivere che esprime con versi sempre più ermetici e incisivi che gli valgono, nel 1959, il Premio Nobel.

TURISMO

Siracusa dal mare - E' possibile compiere il giro del Porto Grande e dell'Ortigia, affidandosi alla Motonave Selene che da marzo a novembre (ed oltre, se il tempo ed il mare lo permettono) naviga sottocosta offrendo una visuale ed una prospettiva diversa della città. Il giro, della durata media di 35 min, può essere "allungato" a piacere ed includere, su prenotazione, il pranzo o la cena. Particolarmente suggestivo il percorso nelle ore del tramonto o di notte quando i singoli punti di interesse vengono di volta in volta illuminati. E bene sottolineare che questo è anche l'unico modo per avere piena visione ravvicinata del Castello Maniace che, in quanto caserma militare, non è visitabile nè visibile dalla terraferma (se non dal lungomare di Levante).

Non solo alberghi - Il Domus Mariae è un piccolo ed elegante albergo gestito da religiose, proprio nel cuore di Ortigia. La zona di Siracusa e provincia offre una serie di alternative al più tradizionale albergo, quali il campeggio ed i centri agrituristici. Gli indirizzi e le caratteristiche sono disponibili presso l'Azienda Provinciale per l'Incremento Turistico di Siracusa. E per cenare si consiglia di restare in Ortigia ove i vicoli nascondono ristoranti caratteristici.

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domenica 20 marzo 2011

Ragusa – Sicilia


La visita della città può cominciare con la visita della Basilica di San Giorgio esempio imponente di barocco siciliano.
Ultimata nel 1775 su disegno di Rosario Gagliardi, presenta una elaborata facciata divisa in tre parti da fasci di colonne e motivi decorativi tipici dell'epoca. La parte centrale, stretta e lunga, è conclusa da una cupola ottocentesca alta più di 40 metri e sorretta da 16 colonne binate.
Nonostante i diversi elementi architettonici appartengano a epoche diverse - la scalinata e la cupola sono posteriori alla chiesa - l'insieme risulta straordinariamente armonioso. All'interno, nella navata centrale, troviamo 13 vetrate istoriate rappresentanti i martiri di S. Giorgio, dipinti di Vito D'Anna e, in Sacrestia, una bella pala di altare marmorea, notevoli sculture di scuola gaginesca e un ricco 'Tesoro del Santo'.
In Piazza Pola, la Chiesa di San Giuseppe presenta una facciata molto simile a quella della Basilica di S. Giorgio, ed è per questo attribuita al Gagliardi. Nell'interno, di forma ellittica, si può vedere ancora la semplice facciata ornata da un bel portale con stemma dell'ordine conventuale e un piccolo barocco campanile a vela. Nell'interno, a una navata, oltre a stucchi e qualche tela, si conservano altre preziose opere barocche, oltre alla presenza di una bella statua in argento di S. Giuseppe del 1600.
Di ritorno da Piazza Pola, e imboccata via Orfanotrofio, ci accoglie la Chiesa di Sant'Antonio , già Santa Maria La Nuova, con un bel portale ogivale in un fianco, residuo dell'antica chiesa in stile gotico, e l'attuale portaletto barocco.
Nell'interno si può vedere ancora nel portale della sagrestia un altro resto dell'antica struttura.
Non lontano c'è l'ingresso della Villa Comunale o Giardino lbleo, ben curato, ampio e panoramico: dalla sua balconata infatti si godono magnifiche vedute sia dei monti di fronte sia della valle dell'Irminio.
Nell'interno della villa sorgono tre chiese: quella dei Cappuccini con convento , quella di San Giacomo e quella di San Domenico o del Rosario, dal campanile con maioliche colorate, ma ormai cadente, con grandi linee di frattura nella facciata.
Poco prima dell'ingresso sorge la Chiesa di San Giorgio Vecchio con un bel portale in stile gotico-catalano, con nella lunetta San Giorgio che uccide il drago, e nei due rombi laterali le aquile aragonesi. La chiesa di San Giorgio, eretta verso la metà del secolo XIV, nel periodo chiaramontano, doveva essere molto grande (a tre navate) e sicuramente molto bella, a giudicare dalla sontuosità di questo portale a forte strombatura il quale, anche se ormai quasi del tutto corroso dal tempo, conserva una sua antica bellezza con le sculture nella dolce roccia locale, da sembrare ricami.
All'interno del parco, come già detto, si innalzano le interessanti chiese di San Domenico, col campanile in terracotta policroma, di origine trecentesca, e quella dei Cappuccini Vecchi, caratterizzata da una semplice facciata ravvivata da quattro paraste a capitelli corinzi che reggono un frontone neoclassico accompagnato da due piccoli campanili. L'interno della chiesa con tetto a capriate conserva una delle piú belle tele di Ragusa, il trittico di Pietro Novelli (il Monrealese), rappresentante la Madonna fra gli angeli e Santi, (uno degli apostoli é un suo ritratto).
Poco distante sorge la Chiesa di Santa Maria delle Scale in via XXIV Maggio. Ricostruita dopo il terremoto, ha avuto salvi il portale, un bel pulpito gotico e il campanile. All'interno degni di nota sono gli archi di tipo gotico e rinascimentale e un'immagine cinquecentesca della Vergine, opera in terracotta della scuola del Gagini. Dal terrazzo antistante la chiesa si dipartono le scale (circa 250 gradini), che, a rampe, ci portano a Ragusa lbla.
Qui, nell'antico nucleo cittadino, si incontra la settecentesca Chiesa di Santa Maria dell'Idria. La chiesa fu costruita per l'ordine dei Cavalieri di Malta nel 1639, quando ebbero a lbla una commenda dell'Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani. Sulla porta si nota ancora la croce dell'ordine maltese. L'interno é fastoso, con sontuose decorazioni agli altari, diversi l'uno dall'altro. Alla sinistra della chiesa si erge un campanile che, oltre alla cella campanaria, sorregge una balaustra, che circonda un cupolino, la cui base ottagonale é rivestita da formelle policrome di Caltagirone, decorate con vasi e fiori.
Poco lontano si trovano Palazzo Cosentini e Palazzo Bertini. Il primo é una tipica costruzione del barocco siciliano del '700. Probabilmente questo é il piú caratteristico di quei palazzi, con eleganti balconi, sorretti da ornatissimi mensoloni con una serie di personaggi e un repertorio di animali, mostri, belve, facce orribili e fantastiche, che sono appunto una caratteristica del barocco. Palazzo Bertini, realizzato dalla famiglia Florida verso la fine del '700, fu poi comprato dai Bertini, dai quali prese il nome. La caratteristica di questa costruzione sono tre mascheroni, impostati nella chiave di volta delle finestre. I tre mascheroni sono stati oggetto di interpretazioni diverse, ma quella che viene piú comunemente accettata é quella dei "tre potenti". Il primo mascherone rappresenterebbe il povero deforme, che, con la lingua di fuori, con alcuni denti mancanti e col naso enorme, ha l'espressione di colui che, non possedendo niente, non può essere privato di nulla. All'altra estremità sarebbe rappresentato il commerciante con turbante, con i baffi ben curati e con l'aspetto tranquillo, simbolo di colui che ha tutto e che tutto può grazie al suo denaro. La figura centrale rappresenta un nobile signore, con sguardo fermo e sicuro, colui che può fare ogni cosa, e rappresenta quindi il potere dell'aristocrazia. Il nobile, in quanto al centro della società, é scolpito in posizione frontale, fra povertà e ricchezza.
Un altro edificio che merita di essere visitato é la Cattedrale di San Giovanni che si trova nella piazza omonima. La chiesa, costruita tra il 1706 e il 1760, presenta una bella facciata barocca riccamente decorata, un imponente portale e un campanile a cuspide. Da vedere, all'interno, le pregiate decorazioni in stucco delle cappelle ottocentesche. Sul retro della chiesa si trova la Casa Canonica, bell'edificio barocco alleggerito da diverse finestre balconate.
Prendendo il corso Italia, sulla destra della cattedrale, e deviando per via Scuola, si arriva in piazza del Carmine con il Santuario di origine settecentesca ma di piú recente ricostruzione.
Imboccando via del Mercato, deviando a destra per via XI Febbraio e poi a sinistra per via Di Stefano, ci si ritrova in piazza del Duomo. Accanto alle pompose basiliche, la città ospita il Museo Archeologico lbleo in via Natalelli, allestito al piano terreno dell'Hotel Mediterraneo, che conserva i reperti archeologici degli scavi compiuti nella provincia ragusana. Sono catalogati topograficamente e cronologicamente a partire dal neolitico e divisi in sezioni. La prima sezione raccoglie le testimonianze del Neolitico fino all'Età del Bronzo (cultura di Castelluccio). La seconda é dedicata esclusivamente ai ritrovamenti di Camarina: corredi di necropoli, modellini della città e ceramiche ellenistiche e romane. La terza sezione ospita numerose testimonianze dei primi insediamenti siculi: di particolare interesse é la documentazione relativa al centro di Monte Casasia e delle necropoli di Castiglione e di Ragusa lbla. La quarta sezione raccoglie documenti relativi ai centri di età ellenistica, in particolare agli scavi di Scornavacche, e la ricostruzione con materiali originali della bottega di un ceramista. La quinta sezione ospita materiali di età romana e tardoromana con una ricca documentazione proveniente dai centri di Caucana e di S.Croce Camarina, dove sono stati rinvenuti bei mosaici pavimentali appartenenti a una chiesa paleocristiana.
Il primo ponte di Ragusa, detto Ponte Vecchio o Ponte dei Cappuccini fu fatto costruire grazie all'interessamento dei frati, particolarmente di padre Occhipinti Scopetta, che fu tra i primi a riconoscere la necessità di un ponte che superasse la valle del Gonfalone. Il ponte, progettato dall'ing. Giarruso e inaugurato nel 1835, fu concepito a due ordini: l'inferiore a 4 arcate e il superiore a 10. Una breve escursione si può compiere a due km da Ragusa dove si trovano gli impianti di estrazione e di lavorazione del calcare bituminoso. A cielo aperto o in galleria, essi rappresentano uno dei maggiori complessi del genere. Non lontano dalle miniere scavi recenti hanno portato alla luce una latomia, cioé un antro scavato nella pietra, con tombe di età paleocristiana (IV sec. d.C.).
Spostandoci poi da Ragusa, e procedendo verso Santa Croce Camerina, a circa 20 km, possiamo raggiungere il Castello di Donnafugata.
Di grande effetto scenografico, e per questo più volte tramutato in set cinematografico, esso deve il proprio nome ad un toponimo di origine araba risalente all'anno 1000, la cui traduzione suona come 'fonte della salute', trasformato poi a livello dialettale in 'Ronnafuata' e 'Donnafuata'. Nella forma attuale il castello, o villa residenziale, è da far risalire alla seconda metà dell'ottocento: edificato da Corrado Arezzo, barone di Donnafugata, nel corso dei secoli esso subisce diversi rimaneggiamenti tanto che nessuno stile ben definito gli risulta proprio: la grande terrazza della facciata e i due torrioni rotondi sono affiancati da piccole logge tardo rinascimentali e dalla loggetta in stile gotico veneziano degli inizi del '900.
Delle totali 122 stanze, in parte aperte al pubblico, previa comunicazione agli uffici comunali di Ragusa, sono esclusivamente quelle situate al primo piano, sufficienti, comunque, a creare un'atmosfera particolarmente sfarzosa ed imponente. Circondano il castello ben otto ettari di parco arricchito dalla presenza di una costruzione neoclassica, la cosiddetta 'coffee-house', un labirinto, grotte artificiali e curiosi quanto ormai insoliti meccanismi nascosti, definiti 'scherzi', il cui scopo era un tempo quello di intrattenere piacevolmente gli ospiti del barone.
GEOGRAFIA
(258 km da Palermo; 67 535 abitanti; 502 m s.l.m.; CAP 97100; prefisso tel. 0932).
Sebbene esclusa dai comuni percorsi turistici, Ragusa è una sorpresa interessante, sia per la posizione geografica, sia per la ricchezza del suo patrimonio artistico.
Essa è posta su di una roccia calcarea tra due valloni: la cava di San Leonardo e la cava di Santa Domenica. La città è divisa in due distinti nuclei, Ragusa Inferiore (l'antica lbla) e Ragusa Superiore, separati dalla "Valle dei Ponti", un profondo burrone attraversato da quattro ponti, dei quali ricordiamo quello ottocentesco dei Cappuccini.
La città palesa nella differente struttura urbanistica il suo passato di località in parte devastata da un'intensa attività sismica. In seguito al catastrofico terremoto del 1693 si procedette alla ricostruzione della città Vecchia nello stesso luogo della originaria (lbla) e alla costruzione di nuovi edifici in contrada Patro, facendo nascere il primo nucleo di Ragusa Nuova. Essa costituisce ancor oggi il quartiere storico della città: di impianto urbanistico medievale, con la ricostruzione avvenuta nel '700-'800 assume un aspetto armonioso e architettonicamente saturo, ricco di chiese e palazzi barocchi.
Il centro nuovo, meno ricco di caratteri monumentali, si dispone invece su un reticolato di tipo moderno, con vie larghe e simmetriche.
STORIA
Ragusa lbla è sorta sulle fondamenta dell'antica Hybla Heraea che fu a fondata dai Siculi, dei quali restano molte testimonianze, come i loculi funerari a sezione rettangolare ben visibili nella valle del Gonfalone, lungo la strada che conduce a Modica.
Alcuni secoli piú tardi subì l'invasione dei Greci, di cui assimilò profondamente usi e costumi. Del periodo greco non rimangono centri abitati, ma solo necropoli, tombe scavate nella terra e nel calcare e coperte da lastroni di pietra, delle quali esistono varie testimonianze. La più importante è quella di Monte Rito, oltre a quelle scoperte in contrada Cortolillo, Balatelle, Cava Pece, Cucinello e Tabuna.
Hybla H. conservò la propria indipendenza fino a metà del III secolo a.C. quando, all'arrivo dei Romani, tutta la Sicilia perse l'indipendenza, divenendo una "provincia Romana". A seguito dello smembramento dell'Impero Romano in Impero d'oriente e Impero d'occidente, la città passò circa cinque secoli sotto la dominazione bizantina e cambiò il nome da Hereusium in Reusia. Durante questo periodo la città, come la maggior parte della Sicilia, poco difesa dai bizantini, subì continue ripetute scorrerie da parte di Vandali, Goti e Visigoti. Le uniche testimonianze rimaste della dominazione bizantina sono alcune tombe, di cui la piú importante é quella delle Trabacche nella valletta di Buttino, dove si trovano altre grotte sepolcrali. Nella vicina zona Centopozzi sono stati ritrovati numerosi pozzi (da cui il nome), forse a testimonianza di un luogo abitato.
Nell'844 gli Arabi occuparono Reusa per la prima volta, ma gli abitanti si difesero riuscendo ad allontanarli. Nell'848 gli Arabi ritornarono riuscendo a occupare la città e imponendo duri patti di sottomissione. Dopo una breve ribellione ai Musulmani nell'868 e la inevitabile riconquista araba, Reusa accettò i nuovi dominatori e il suo nome divenne Rakkusa o "Ragus". Gli Arabi, nel corso dei due secoli di dominazione migliorarono non solo l'agricoltura, ma incrementarono anche i commerci e le industrie e quindi il benessere sociale; prezioso fu anche il contributo che diedero nel campo artistico e della cultura in genere.
Ai Saraceni seguirono i Normanni che, scesi in Sicilia nel 1060, completarono in trent'anni la conquista dell'intera isola e Ragusa, divenuta contea, fu assegnata da Ruggero I al figlio Goffredo, primo conte di Ragusa. In questo periodo il nome di Ragus divenne definitivamente Ragusa.
Divenuta poi la Sicilia terra degli Svevi con Enrico VI, la contea di Ragusa divenne demanio del re. Al periodo della dominazione sveva segui quella francese con Carlo d'Angiò, che comunque durò poco, perché il suo malgoverno scatenò la rivolta dei Siciliani, culminata nei Vespri Siciliani. A Ragusa la ribellione fu guidata da Giovanni Prefolio, che il 5 aprile 1282 insorse contro il presidio francese liberando la città. Il Prefolio fu nominato governatore della città e, quando Pietro d'Aragona fu chiamato dai Siciliani a regnare sull'Isola, Ragusa divenne contea e il Prefolio ne assunse il comando. É in questo periodo che si impone la famiglia dei Chiaramonte, che governò la contea per piú di un secolo fino all'arrivo dei signori di Cabrera. Uno degli avvenimenti piú ricchi di sviluppo per la contea fu quello della concessione delle terre in enfiteusi a cominciare dal 1452. Consisteva in un contratto agrario che assicurava al titolare il godimento di un fondo con l'obbligo di migliorarlo, dietro pagamento di un canone annuo in natura o in denaro. Con l'introduzione di questo istituto iniziò nella contea una vera rivoluzione agricola, poiché ogni enfiteuta cercava di migliorare la propria posizione economica e sociale, incrementando le colture e introducendo quelle opere che accrescevano la produttività dei campi che fino ad allora erano rimasti quasi incolti. I nuovi nobili, assieme ai vecchi, non migliorarono però la situazione del popolo, e le forti rivalità tra le diverse famiglie continuarono per secoli fino a quando il 17 aprile 1695 fu chiesto il decreto di divisione del comune di Ragusa in due, Ragusa Nuova e Ragusa Vecchia. Dopo meno di otto anni, il 27 marzo del 1703, fu chiesto un nuovo decreto con cui suggellare l'unione delle due Raguse in una. Nonostante questa nuova riunione continuarono le lotte interne per la divisione del potere politico e la relativa spartizione delle terre.
Nel 1713, col trattato di Utrecht, la Sicilia passò ai Savoia, anche se la contea di Modica rimase agli Spagnoli, ai quali seguirono gli Austriaci nel 1720 e i Borboni nel 1738.
Con l'impresa garibaldina del 1860, Ragusa e la Sicilia entrarono a far parte del Regno d'Italia. Nel 1865 la città fu nuovamente divisa in due, Ragusa Inferiore, cioè l'antica lbla, e Ragusa, quella nuova.
Nel 1922 Ragusa Inferiore fu chiamata Ragusa lbla, ma solo quattro anni dopo, nel 1926, Ragusa diventava un solo comune e capoluogo di provincia.
ECONOMIA
Dal punto di vista economico la città vanta la presenza di oli essenziali e combustibili liquidi nelle miniere di rocce asfaltiche. Nel 1953 venne trivellato il primo pozzo di petrolio: da allora altri giacimenti sono diventati costantemente produttivi.
Per quanto concerne l'agricoltura un enorme importanza ha assunto, nella zona costiera, in particolare nella frazione di Marina di Ragusa, la serricoltura, mentre nel campo zootecnico é attivo l'allevamento dei bovini della razza modicana, in parte integrata con altre razze.
Accanto all'allevamento dei bovini anche alcuni tipici prodotti favoriscono l'economia locale, come ad esempio il tipico formaggio ragusano, "il caciocavallo".
L'attività agricola nel ragusano avviene soprattutto nella masseria; generalmente molto grande, é costituita da un ampio cortile centrale lastricato, "u bagghiu", il cuore del fabbricato, dai magazzini usati per gli attrezzi, per la raccolta del grano, essendo la masseria ragusana legata contemporaneamente all'allevamento e alla coltivazione dei cereali. Inoltre, nelle masserie piú importanti, si nota anche la presenza di una chiesa. Queste costruzioni, sia le piú semplici sia le piú complete, si inseriscono in modo armonioso nel paesaggio circostante, essendo costruite con il calcare.
Importante prodotto del ragusano è anche il miele, caratteristico quello di "satra", un cespuglio che cresce sugli altopiani. Un certo sviluppo hanno assunto le piccole e medie industrie di trasformazione dei prodotti agricoli e in particolare quelle molitorie, conserviere e lattiero-casearie favorite dalla crescente disponibilità di materie prime.
Tra le piú tipiche e diffuse espressioni di artigianato é presente la lavorazione della latta, del rame e del ferro battuto.
A livello casalingo e amatoriale, é diffusa la pratica del ricamo, a mano o a telaio.
Il popolo siciliano e quello di Ragusa in particolare hanno un ricco calendario di spettacoli tradizionali e feste religiose popolari con processioni e riti, ai quali la gente partecipa con grande entusiasmo. La cerimonia piú singolare é la festa di San Giorgio che si celebra l'ultima domenica di maggio. La chiesa viene addobbata per l'occasione con stendardi, fiori e luci e con la statua del santo posto al centro della chiesa per la venerazione dei fedeli. In quest'occasione si aprono le belle porte scolpite, coperte durante l'anno da due ante. Sono d'obbligo tutte le messe solenni e le pratiche religiose di una festa patronale che cominciano una settimana prima. La statua, non molto pesante, consente ai portatori di danzare quasi a passo di musica, di far girare la statua e di alzarla a braccia fino a lanciarla in aria per poi riprenderla. San Giorgio viene rappresentato vestito da soldato con corazza e lunga lancia, con la quale uccide il drago che gli sta sotto. La statua é preceduta da un'altra portantina sulla quale é posta la "Santa Cassa" in argento lavorato con le reliquie dei santi. La statua viene portata in piazza dove si forma la processione che inizia il giro delle caratteristiche vie di lbla.

Caltagirone – Sicilia

 

LA CITTA'

Asse principale di Caltagirone è la lunga via Roma che, tagliando in due la città, arriva fino ai piedi dell'ormai famosa scalinata di S. Maria del Monte, sua continuazione ideale. Lungo la via si affacciano alcuni tra gli edifici più interessanti, con numerosi esempi di decori in maiolica. Nel tratto iniziale appare, sulla sinistra, la bella cinta della Villa comunale con il Teatrino.

Villa Comunale - E' un bellissimo giardino disegnato verso la metà del secolo scorso da Basile ed ispirato ai giardini inglesi. Il lato che si affaccia su via Roma è delimitato da una balaustrata ornata da vasi con inquietanti volti diavoleschi ai quali si alternano pigne dal verde intenso e lampioncini dai sostegni in maiolica. Il giardino si sviluppa in una serie di sentieri ombreggiati che celano spazi più ampi abbelliti da opere in ceramica, statue, fontane. Il più appariscente è senz'altro lo spiazzo con al centro un delizioso palchetto della musica dalle forme arabeggianti ed ornato da maioliche.

Museo della Ceramica - Il Teatrino, singolare costruzione settecentesca ornata di maioliche, ospita questo interessante museo che permette di ripercorrere la storia della ceramica locale dalla preistoria agli inizi del Novecento. Attraverso i manufatti si scoprono l'evoluzione delle forme e delle decorazioni. La diffusione e l'importanza della lavorazione dell'argilla è attestata da un bel cratere del V sec. a.C, su cui sono raffigurati un vasaio ed un giovane mentre lavorano al tornio.
Particolarmente ben rappresentato il XVII sec, con albarelli dalla decorazione vivace, sui toni del giallo, del blu e del verde, anfore e vasi con medaglioni a soggetto religioso o profano.
Poco oltre, sempre in via Roma, sulla destra si trova la bella balconata di Casa Ventimiglia decorata dall'omonimo maiolicaro calatino nel Settecento. Superato il Tondo Vecchio, esedra in pietra e mattoni, ci si imbatte (a destra) nell'imponente facciata di S. Francesco d'Assisi seguita dall'omonimo ponte maiolicato, che immette nel cuore vero e proprio della città. Oltre la chiesetta di S. Agata, sede della confraternita dei maiolicari, si trova l'austero carcere borbonico.

Carcere Borbonico - E' un edificio dalla mole imponente e squadrata che il recente restauro ha valorizzato nuovamente. In pietra arenaria, venne progettato alla fine del '700 dall'architetto siciliano Natale Bonajuto ed adibito a carcere per circa un secolo. Attualmente ospita al suo interno un piccolo museo civico che permette di scoprirne anche le massicce strutture interne.
Museo Civico - La visita inizia al 2° piano con una mostra permanente di opere contemporanee in ceramica. In una sala è conservato il fercolo di S. Giacomo in legno dorato ed argento (fine XVI sec.), utilizzato fino aI 1966 per la processione del 25 luglio. Si notino i volti delle cariatidi, dai tratti delicati. La 3° sala è dedicata ai Vaccaro, due generazioni di pittori attivi nel XIX sec. Particolamente belli lo stesicoro di Francesco e Bambina che prega di Mario. Al 1° piano è ospitata la Pinacoteca che raccoglie opere di artisti siciliani.

Piazza Umberto I - Vi si affaccia il Duomo di S. Giuliano, edificio barocco che ha subìto notevoli rimaneggiamenti, tra i quali il più rilevante è la sostituzione della facciata agli inizi del '900. Si giunge in vista dell'ormai famosa scala di S. Maria del Monte, ai piedi della quale, sulla sinistra, si erge il Palazzo Senatorio con alle spalle la Corte Capitaniale, bell'esempio di edificio civile (1601) opera dei Gagini. A destra, una scalinata permette di raggiungere la Chiesa del Gesù con, all'interno, una Deposizione di Filippo Paladini (3° cappella a sinistra). Alle spalle dell'edificio si trova la Chiesa di S. Chiara, la cui elegante facciata è attribuita a Rosario Gagliardi (XVIII sec.). Subito oltre, l'edificio di inizio Novecento dell'Officina elettrica deve la facciata ad Ernesto Basile,
Ritornare in piazza Umberto.

Scala di S. Maria del Monte - La scala costituisce il punto di collegamento tra la città vecchia (superiore), sede nel '600 del potere religioso, e la parte nuova, ove invece erano raccolti gli edifici civili. Ai due lati si estendono i due vecchi quartieri di S. Giorgio e di S. Giacomo che racchiudono, nelle intricate viuzze, begli edifici religiosi. I 142 gradini in lava sono decorati, sull'alzata, da belle formelle in maiolica policroma che alternano motivi geometrici, floreali, decorativi e ispirati al mondo animale in un succedersi di reminiscenze arabe, normanne, spagnole, barocche e contemporanee. Una volta l'anno la scala brilla di fiammelle colorate che formano "quadri" ogni volta differenti: riccioli, volute, disegni floreali, figure femminili, o il più ricorrente simbolo della città, un'aquila con sul petto uno scudo crociato. Sono le notti di S. Giacomo, il 24 e 25 luglio, quando migliaia di lumini racchiusi in involucri rossi, gialli o verdi vengono disposti sulla scala ed accesi.
In cima alla scala. S. Maria del Monte, chiesa matrice, sede antica del potere religioso. All'altare maggiore si trova la Madonna di Conadomini, tavola del XIII sec.

I quartieri di S. Giorgio e di S. Giacomo - Ai piedi della scala, via L. Sturzo, sulla destra, è fiancheggiata da alcuni bei palazzi, tra cui Palazzo della Magnolia (al n° 74), dall'esuberante e ricca decorazione floreale in terracotta, opera di Enrico Vella. Subito oltre si trovano le due chiese ottocentesche di S. Domenico e del SS. Salvatore, al cui interno si trova il Mausoleo di Don Luigi Sturzo ed una Madonna col Bambino di Antonello Gagini. Alla fine di via Sturzo si giunge alla Chiesa di S. Giorgio (XI-XIII sec.) ove è conservata la tavola del Mistero della Trinità attribuita al fiammingo Roger van der Weyden.
Il proseguimento ideale di via Sturzo, ma dalla parte opposta rispetto alla scala, è via Vittorio Emanuele che conduce alla Basilica dl S. Giacomo, patrono della città, al cui interno si trova la cassa argentea che racchiude le reliquie del santo, realizzata dai Gagini.

OLTRE IL CENTRO

Una passeggiata per i caratteristici quartieri che si nascondono dietro le vie di grande scorrimento può riservare piacevoli ed inaspettate sorprese quali, ad esempio, la facciata neogotica della Chiesa di S. Pietro (nell'omonimo quartiere, a sud-est), decorata da maioliche.

Chiesa del Cappuccini - Situata ai confini orientali della città, la chiesa conserva all'altare, una bella pala di Filippo Paladini raffigurante il trasporto dall'Oriente all'Occidente della Madonna dell'Odigitria portata a spalla da monaci basiliani. Lungo il fianco sinistro dell'unica navata, la Deposizione di Fra' Semplice da Verona, presenta un bel gioco prospettico. Contigua alla chiesa, si trova la Pinacoteca che raccoglie dipinti dal '500 ai nostri giorni. Da qui si ha accesso alla cripta ove si trova un singolare presepe che riunisce i vari momenti della vita di Gesù che vengono successivamente illuminati ed accompagnati da frasi evangeliche. Le statuette sono state realizzate negli anni '90 e sono opera di diversi artisti di Caltagirone.

STORIA

Caltagirone, città della ceramica - Tutto nasce dalla ricchezza di argilla della zona. La facilità di reperire il materiale dà impulso alla lavorazione di manufatti di terracotta, soprattutto vasellame, che serve a rifornire l'intera regione. Questa diviene ben presto una delle principali attività della cittadina. Dai modelli locali si passa a quelli di influsso greco (quando si infittiscono i commerci) ed alla lavorazione, più veloce e precisa, al tornio (sono i Cretesi ad introdurlo, intorno al 1000 a.C.), fino all'arrivo degli Arabi (IX sec.). Sono loro a modificare completamente la produzione. Introducono motivi orientali, ma soprattutto la tecnica dell'invetriatura, processo innovativo utile anche per rendere impermeabile l'oggetto. Si sviluppa un'arte più raffinata, con bei decori geometrici, stilizzati, tratti dal mondo vegetale ed animale. I colori dominanti sono il blu, il verde ed il giallo. A testimonianza dell'importanza della dominazione araba resta anche la radice musulmana del nome della città che nell'ipotesi più intrigante significa Castello o Rocca dei vasi.
Con la dominazione spagnola si modificano i gusti e le committenze. La decorazione è adesso monocromatica (blu, bruna) a motivi floreali o con stemmi nobiliari di famiglie ed ordini religiosi. La città conosce un periodo di particolare floridità, grazie anche ad altre attività della zona: la produzione di miele, qui particolarmente abbondante, fa sì che i mielai siano tra i clienti più assidui delle botteghe di vasai. Ai cannatari (da cannate, i boccali), come erano generalmente chiamati gli artigiani della ceramica, si aggiungono i quartari (da quartare, anfore che derivano il nome dalla loro capacità, corrispondente a 12,5 litri, un quarto di un barile). Riuniti in confraternite, gli artigiani aprono le loro botteghe in una zona piuttosto estesa, a sud della città, entro le mura. Oltre alla produzione di vasellame, a Caltagirone si progettano anche rivestimenti per ornare cupole, facciate di chiese, palazzi e pavimenti. Grandi artisti sono attivi tra il Cinquecento ed il Settecento tra i quali i fratelli Gagini e Natale Bonajuti. I decori sono gli stessi del vasellame: motivi geometrici, floreali e stilizzati tra cui spicca la piccola palma persiana di derivazione toscana (Montelupo). Nel XVII sec. si diffonde anche una decorazione a medaglioni con figure umane ed effigi di santi (tipici di tutta la produzione siciliana), mentre nel secolo successivo vengono introdotti decori plastici che vanno ad ornare le superfici dei vasi in ricche volute e ricami policromi.
L'Ottocento segna invece un periodo di decadenza ravvivato solo dalla produzione di figure, spesso utilizzate come statuine da presepe. La loro creazione vede impegnati, nella seconda parte del secolo, le mani esperte dei Bongiovanni-Vaccaro.

TURISMO

Chi arriva a Caltagirone non può lasciarsi sfuggire una presenza che sembra accompagnare la città: la ceramica, che non solo troneggia all'interno dei negozi in un'euforia di vasi, piatti, suppellettili, ma abbellisce ponti, balaustre, facciate e balconi. E questo a testimonianza di un'arte che, in questa zona, è antica quasi quanto le origini della città.

Dove acquistare
Innumerevoli sono i negozi di ceramiche che si allineano lungo le vie del centro e costeggiano la Scala di S. Maria del Monte. Chi volesse avere una panoramica della produzione locale, può rivolgersi alla Mostra Mercato Permanente in via Vittorio Emanuele, che riunisce i lavori di alcuni artigiani della città.

Dove mangiare
Il ristorante La Scala, all'inizio della scala di S. Maria del Monte sulla destra, è sistemato in un bel palazzo settecentesco che a pianterreno possiede delle stanze ove scorrrono ancora oggi delle acque sorgive che all'epoca erano l'equivalente dell'acqua corrente.

Siracusa e La Penisola di Ortigia

 

 

Città di mare, che nel mare si allunga con l'isola di Ortigia, Siracusa è adagiata lungo una baia armoniosa. Il nome evoca subito il passato greco, i tiranni e la rivalità con Atene e con Cartagine, passato di cui la città conserva numerose testimonianze, questo si affianca un periodo forse meno conosciuto, ma non meno suggestivo, che si rivive percorrendo le stradine dell'isola, dove il tempo sembra essersi fermato in bilico tra Medioevo e Barocco. Subito alle spalle di Ortigia si estende l'Acradina, come veniva chiamata nell'antichità la zona pianeggiante contigua ad Ortigia. E poi la Neaú polis, area "nuova" dove si trova il teatro, l'Orecchio di Dionisio e la latomia del Paradiso, una delle più belle, e, ad oriente, il quartiere di Tyche che ricorda la presenza di un tempio dedicato alla dea Fortuna (dal greco Tyche, il caso). Domina tutta l'Epipoli, custodita e difesa dal castello Eurialo, in posizione elevata e strategica.

ORTIGIA

Giace de la Sicania al golfo avanti
un'isoletta che a Plemirio ondoso
è posta incontro, e dagli antichi
è detta per nome Ortigia...
Virgilio, Eneide, Canto III.

Data la ricchezza di palazzi e di scorci interessanti, diviene impossibile segnalare un percorso lineare che comprenda tutto ciò che merita di essere visto. Qui di seguito si nominano quindi solo le vie di maggior interesse lasciando alla fantasia ed alla voglia di chi si addentra in questi angoli di storia, l'emozione della scoperta dei particolari. Un consiglio: viaggiate con il naso all'insù, per non perdere i segreti che queste stradine, con i loro palazzi, racchiudono.

Uno sguardo alla costa...
L'isola, l'insediamento più antico della città, è legata alla terraferma dal Ponte Nuovo, prolungamento di c.so Umberto I, una delle principali arterie di Siracusa. Qui la sensazione del mare si fa più forte fin dalla darsena che si stende sia a destra che a sinistra del ponte ed è animata da barche colorate. Lasciando vagare lo sguardo lungo la banchina si nota a destra, proprio sull'angolo, un bel palazzo in stile neogotico: l'intonaco rosso e le bifore della dimora del poeta e scrittore Antonio Cardile (ME 1883-SR 1951) invitano il visitatore a proseguire il peniplo dell'isola. L'atmosfera che si respira è più calma e pacata ed i rumori sembrano giungere attutiti. Sulla destra il mare, sulla sinistra le antiche mura spagnole che testimoniano come un tempo (fino al 1800) tutta la città vecchia fosse fortificata. La Porta Marina, la cui lineanità è spezzata da una bella edicola in stile catalano, immette nel passeggio Adorno, creato sopra le mura nel XIX sec. Oltre, lo sguardo abbraccia l'immensa distesa del Porto Grande, in passato teatro di imponenti battaglie.

Fonte Arethusa - Sorgente di acqua dolce, ebbe nell'antichità un ruolo determinante per l'insediamento del primo nucleo di abitanti. L'esistenza della fonte è legata ad una leggenda. Arethusa, ninfa di Diana perseguitata dall'amore del cacciatore Alfeo, chiede aiuto alla dea che la fa fuggire lungo una via sotterranea. Raggiunta così l'isola di Ortigia, la ninfa si trasforma in fonte. Alfeo però non si perde d'animo e, trasformatosi in fiume sotterraneo, passa lo Ionio fino a raggiungere Ortigia dove mescola le sue acque con quelle di Arethusa.
Oggi nella fonte, tra papiri e palme, nuotano anatre e papere.
Il fronte delle case, dai colori pastello, rende l'armoniosa continuità che pervade anche le vie interne. Appare sulla punta estrema dell'isola la mole del Castello Maniace (non visitabile). Fortezza in pietra arenaria costruita da Federico II di Svevia nella prima metà del XIII sec. lI nome è quello del generale bizantino Giorgio Maniace che nel 1038 cerca di sottrarre Ortigia agli Arabi, fortificando l'isola ed in particolare il luogo dove poi Federico II riedificherà il castello. La struttura squadrata e massiccia è tipica della tipologia costruttiva sveva. Alcuni elementi architettonici testimoniano come il castello probabilmente avesse funzione difensiva, ma anche di rappresentanza. Proseguendo si raggiunge la riviera di Levante da cui si gode di una bella vista del Castello (la migliore resta quella che si gode dal mare). Si supera la Chiesa dello Spirito Santo, dalla bella e bianca facciata a tre ordini raccordati da volute e scandita da lesene, e si raggiunge, lasciato alle spalle anche il Forte Vigliena, il Belvedere S. Giacomo, un tempo baluardo difensivo, da dove si gode di una bella vista su Siracusa.

...ed una passeggiata nell'interno
Piazza Duomo
- Dalla forma irregolare e leggermente tondeggiante lungo il lato che fronteggia la cattedrale, quest'incantevole piazza si permea di un'atmosfera particolarmente suggestiva al tramonto ed al calare della notte, quando viene illuminata. E' delimitata da bei palazzi barocchi tra i quali spiccano la notevole facciata di Palazzo Beneventano del Bosco, dalla bella corte interna, con di fronte il Palazzo del Senato (nel cui cortile è custodita una Carrozza del Senato del XVIII sec.) e la Chiesa di S. Lucia a chiudere il lato corto.

Duomo - Il sito ove sorge il Duomo viene destinato fin dall'antichità ad ospitare un luogo di culto. Ad un tempio eretto nel VI sec. a.C. si sostituì il Tempio di Atena, innalzato in onore della dea con i proventi della fatidica e schiacciante vittoria ad Himera (480 a.C.) contro i Cartaginesi. Il tempio viene inglobato, nel VII sec., in un edificio cristiano: vengono innalzati muri a chiudere lo spazio tra le colonne del penistilio e vengono aperte otto arcate nella cella centrale per permettere il passaggio alle due navate laterali così ottenute. Le imponenti colonne doniche sono ancora oggi visibili sul lato sinistro, sia all'esterno che all'interno dell'edificio. Forse trasformata in moschea durante la dominazione araba, la chiesa viene rimaneggiata in epoca normanna. Il terremoto del 1693 causò il crollo della facciata che viene rifatta in forme barocche (XVIII sec.) dal palermitano Andrea Palma che utilizzò come modulo compositivo basilare la colonna. L'ingresso è preceduto da un atrio con un bel portale fiancheggiato da due colonne a torciglioni lungo le cui spire si avvolgono rami d'uva.
All'interno, il lato destro della navata laterale è delimitato dalle colonne del tempio, che oggi danno accesso alle cappelle. Nella 1° cappella di destra è conservato un bel fonte battesimale formato da un cratere greco in marmo sostenuto da sette leoncini in ferro battuto del XIII sec.
La cappella di S. Lucia presenta un bel paliotto argenteo del '700. Nella nicchia è conservata la statua argentea della santa, opera di Pietro Rizzo (1599). La cattedrale raccoglie molte statue dei Gagini tra cui quella della Vergine (di Domenico) e di S. Lucia (di Antonello) lungo la navata laterale sinistra e la Madonna della Neve (di Antonello) nell'abside sinistra.
A nord della piazza, in via Landauna, si trova la Chiesa dei Gesuiti, dall'imponente facciata.

Galleria Civica d'Arte Contemporanea - Ospitata nell'ex-convento e chiesa di Montevergini (ingresso da via delle Vergini), la collezione raccoglie opere principalmente pittoriche di artisti contemporanei sia italiani che stranieri (Sergio Fermaniello, Marco Cingolani, Aldo Damioli, Enrico De Paris).

Galleria Regionale di Palazzo Bellomo - Palazzo Bellomo, sorto in periodo svevo (XIII sec.), viene ampliato e sopraelevato nel corso del XV sec. Si delineano così i due stili differenti: al piano inferiore portale ad arco ogivale e feritoie che lo rendono simile ad una fortezza: trifore sorrette da esili colonnine a quello superiore. Dapprima palazzo privato, passò nel '700 alle monache dell'attiguo monastero di S. Benedetto oggi totalmente inglobato nella struttura museale. Contigua al palazzo è ancora visibile la Chiesa di S. Benedetto dal bel soffitto a cassettoni. L'interno del palazzo presenta al centro un bel cortile porticato su cui si affaccia la scala che conduce al piano superiore. Il parapetto è ornato nella fascia alta da trafori a rosa e trilobati. Alla fine della prima rampa si trova una bella edicola in stile flamboyant.
Il museo - E' dedicato in massima parte all'arte siciliana. Chiaro lo stile bizantino di una bella serie di dipinti cretesi-veneziani (sala IV) raffiguranti la creazione del mondo (sei tavole), il peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre. Il piano superiore è prevalentemente dedicato alla pittura. Il pezzo più interessante è certamente la bella, ma rovinata Annunciazione di Antonello da Messina. Come in molti altri dipinti di questo artista si denota il gusto fiammingo per i particolari (il manto del santo, il paesaggio popolato di personaggi oltre la finestra) a cui si unisce il rigore formale, compositivo e prospettico italiani. Il seppellimento di S. Lucia, di Caravaggio, è forse ambientato nel sepolcro della santa all'interno delle omonime catacombe. Lo stile drammatico e provocatorio che caratterizza l'opera di questo artista si delinea nella stessa scelta compositiva: la folla di persone che si accalca alle spalle del corpo della santa, per terra, è dominata dalle figure dei becchini, delle quali una, imponente ed in primo piano, è di spalle. E la luce proietta ombre inquietanti.
Il museo presenta inoltre una serie di oggetti artistici tra cui arredi e paramenti sacri, presepi, mobili e ceramiche.
Poco lontano, in via S. Martino, l'omonima chiesa, il cui impianto originario risale al VI sec., conserva un portale in stile gotico-catalano.

Palazzo Mergulese-Montalto - E' un bellissimo palazzo, purtroppo non in ottime condizioni, la cui costruzione risale al XIV sec. La facciata si scandisce in due ordini divisi da un marcapiano dentellato. La parte superiore è ornata da superbe finestre elaborate, racchiuse da archi dal ricco intaglio e suddivise da esili colonnine tortili. Al piano inferiore si apre il portale ad arco acuto sormontato da una bella edicola. Dal palazzo si può raggiungere la vicina piazza Archimede, di formazione più recente. Animata al centro dall'ottocentesca fontana di Artemide, è delimitata da bei palazzi.
Dalla piazza nasce via della Maestranza.

Via della Maestranza - E' una delle vie principali e più antiche di Ortigia ed è fiancheggiata da abitazioni nobili di aspetto barocco di cui, qui di seguito, segnaliamo le più significative. Al n° 10 il Palazzo Interlandi Pizzuti e, poco più avanti, Palazzo Impellizzeri (n° 17), che presenta una facciata ritmata da finestre e balconi dalle linee sinuose. Poco oltre, Palazzo Bonanno (n° 33), sede dell'Azienda Autonoma di Turismo, è una severa costruzione medievale dalla bella corte con una loggia al primo piano. Al n° 72 si eleva l'imponente Palazzo Romeo Bufardeci, dall'esuberante facciata con balconi rococò. La via si apre poi in una piazzetta coronata dalla Chiesa di S. Francesco all'Immacolata cui si appoggia la torre campanaria risalente all'800. La facciata chiara, convessa, è lineare e scandita da colonne e lesene. La chiesa ospitava, nella notte tra 28 ed il 29 di novembre, un rito di origine antica, la Svelata, durante il quale veniva svelata l'immagine della Madonna. Questo avveniva nelle prime ore dell'alba (per permettere alla gente di recarsi al lavoro che un tempo iniziava prestissimo). Durante la notte una banda musicale annunciava ai fedeli l'inizio della celebrazione. Verso la fine della via si delinea la facciata ricurva di Palazzo Rizza (n° 110). Palazzo Impellizzeri (n° 99) domina la via dall'alto della sua sontuosa ed originale cornice di volti umani e grotteschi sormontata da motivi floreali.
Alle spalle dell'ultimo tratto si stende il Quartiere della Giudecca dalla planimetria antica, con vie serrate e perpendicolari tra loro. Venne abitato dalla comunità ebraica durante il XVI sec., fino alla loro espulsione.

Mastrarua - Oggi via Vittorio Veneto, era un tempo l'arteria principale di Ortigia. Era lungo questa via che il re entrava in città ed era qui che si svolgevano processioni, parate ufficiali e reali. E quindi logico che vi si affacciassero bei palazzi. Alcuni tra i più significativi sono Palazzo Bianco (n° 41). riconoscibile dalla statua di S. Antonio in un'edicola sulla facciata e dal bel cortile interno con scalea, Casa Mezia (n° 47) il cui portale è sormontato da una mensola a forma di grifone, e la Chiesa di S. Filippo Neri seguita dalla lineare facciata di Palazzo Interlandi e da Palazzo Monforte, purtroppo molto rovinato. Quest'ultimo fa angolo con via Mirabella lungo la quale si allineano begli edifici. In particolare, proprio di fronte a palazzo Monforte, si può ammirare l'elegante Palazzo Bongiovanni. Il portone è sovrastato da una maschera sopra la quale, ad aggetto, si trova la figura di un leone che regge un cartiglio recante la data 1772, e che funge da sostegno centrale di un balcone sagomato. La finestra centrale è segnata da volute. Proseguire lungo via Mirabella. Una piccola deviazione a destra permette di ammirare Palazzo Gargallo (oggi sede dell'Archivio Distrettuale Notarile), in stile neogotico. In corrispondenza di piazzetta del Carmine, si incontra anche l'altro Palazzo Gargallo (n° 34), sempre nello stesso stile. Via Mirabella segna anche l'inizio del quartiere arabo, caratterizzato da vicoli, o ronchi, particolarmente stretti. In uno di questi si trova anche la basilica paleocristiana di S. Pietro, oggi auditorium, di cui si può ammirare il bel portale. Sempre in via Mirabella, poco oltre, si incontra la chiesa di S. Tommaso, di origini normanne (XII sec.). Riprendendo la Mastrarua, al n° 111 si incontra un bel portale con esseri mostruosi. Al n° 136,. invece, si trova la Casa Natale di Elio Vittorini (nato il 23 luglio 1908).

Tempio di Apollo - L'edificio, costruito nel VI sec. a. C., è il più antico tempio dorico periptero (racchiuso da colonne) della Sicilia. Secondo un'iscrizione dedicato ad Apollo, secondo Cicerone ad Artemide, è stato trasformato in chiesa bizantina, poi in moschea e di nuovo chiesa sotto i Normanni. Si possono ancora vedere resti di colonne del peristilio e una parte del muro del recinto sacro.
Dalla piazza si diparte Corso Matteotti, passeggio di Ortigia, fiancheggiato da eleganti negozi.

PARCO ARCHEOLOGICO DELLA NEAPOLIS
Vi sono due differenti ingressi: uno situato in via Rizzo e l'altro in via Paradiso. Il percorso qui descritto prevede l'entrata da via Rizzo.

Teatro Greco - E' uno dei più imponenti dell'antichità. La cavea è stata completamente scavata nella pietra sfruttando la naturale pendenza del colle Temenite. La data di costruzione è stata stabilita intorno al V sec. a.C. in base alla notizia della rappresentazione della prima dei Persiani di Eschilo. Ci è giunto anche il nome del probabile costruttore: Damocopo, detto Myrilla per aver utilizzato unguenti (miroi) all'inaugurazione del teatro.
Il teatro viene modificato da Ierone II nel III sec. a.C.: divisa in nove cunei, la cavea è percorsa, a metà circa, da un corridoio. Lungo la parete, in corrispondenza di ogni settore, viene inciso il nome di una personalità o di una divinità. Ancora oggi è possibile distinguere le lettere che formano il nome di Giove Olimpio (DIOS OLYMPIOS ) nel cuneo centrale e, proseguendo a destra, fronte alla scena, quelli dello stesso Ierone II (BASILEOS IERONOS), della moglie Filistide (BASILISSAS FILISTIDOS), e della nuora Nereide (BASILISSAS NEREIDOS). Adattato in epoca romana per giochi d'acqua (si suppone) e combattimenti fra gladiatori prima della costruzione dell'anfiteatro, lo spazio viene utilizzato anche in epoche successive in modo improprio. Gli spagnoli infatti vi impiantano dei mulini ad acqua.
Nel settore centrale della cavea sono ancora visibili i solchi lasciati da due macine ed il canale di scolo dell'acqua. Alle spalle della cavea si trova un grande spiazzo su cui si apre, al centro, la cosiddetta Grotta del Ninfeo con vasca rettangolare ravvivata dalle acque di un acquedotto greco che corre per circa 35 km e nasce dal Rio Bottiglieria, affluente del fiume Anapo, nella zona di Pantalica. In disuso durante il Medioevo, nel XVI sec, l'acquedotto viene riattivato dal marchese di Sortino per alimentare i mulini impiantati nel teatro. Sulla sinistra si apre la Via dei Sepolcri. Nelle pareti che la fiancheggiano sono scavati ipogei di epoca bizantina e nicchie votive che servivano, appunto, per depositare offerte.
Ancora oggi al teatro vengono messi in scena spettacoli classici greci e latini che si svolgono durante l'estate (in giugno, tutti gli anni pari).

Orecchio di Dionisio - Questa suggestiva grotta si trova in una delle più belle latomie di Siracusa, la Latomia del Paradiso, oggi un delizioso giardino ricco di aranci, palme, magnolie. Come evoca il nome, l'aspetto della grotta richiama un padiglione auricolare, sia nella sagoma dell'entrata che nel disegno serpeggiante dell'interno. Fu Caravaggio, durante un suo viaggio in Sicilia agli inizi del '600, ad assegnarle questo nome, affascinato anche dalla leggenda secondo la quale Dionisio il Vecchio, grazie all'eco eccezionale, avrebbe potuto ascoltare, non visto, i suoi nemici.
La levigatezza delle pareti, così alte e regolari, e lo sviluppo interno, quasi labirintico e sempre immerso nella penombra, rendono difficile credere che si tratti di una cava. In realtà, questa particolare conformazione è dovuta alla tecnica di scavo utilizzata: una piccola fenditura nella parte più alta, poi allargata verso il basso (forse seguendo il tracciato di un acquedotto) man mano che si scoprivano strati di ottima pietra. La grotta ha anche un'eccezionale acustica e non è raro imbattersi in una guida, turista o curioso che si cimenta nel canto dando bella prova di sè.
Molte le storie che circolano sulla grotta e sul suo utilizzo una volta terminata: accanto all'ipotesi più veritiera che la vuole adibita a prigione (come tutte le altre latomie) e a quella più fantasiosa di "cornetto acustico" di Dionisio, c'è anche chi sostiene che venisse utilizzata dal coro per gli spettacoli al vicino teatro. Accanto si trova la Grotta dei Cordari, così chiamata perchè utilizzata, fino a poco tempo fa, da questi artigiani per intrecciare la corda in un ambiente piacevolmente fresco. Visibile purtroppo solo dall'esterno (per motivi di sicurezza) fornisce un ottimo esempio delle tecniche di scavo.

Ara di Ierone II - E' un immenso altare, lungo circa 200 m ed in parte ricavato nella roccia, eretto nel III sec. a.C, dal tiranno per i sacrifici pubblici. Di fronte si apriva una grande piazza rettangolare, probabilmente porticata, con al centro una piscina.

Anfiteatro Romano - E' stato costruito in epoca imperiale sfruttando la conformazione del terreno che ha permesso di ricavare, direttamente nella roccia, metà della cavea. E' la parte meglio conservata. L'altro emiciclo invece era formato da grossi conci di pietra riutilizzati nelle epoche successive. Si possono ancora distinguere i due ingressi, uno a sud ed uno a nord. Al centro dell'arena si apre un vano rettangolare collegato all'entrata sud tramite un fossato. Era uno spazio "tecnico" destinato ai macchinari scenici per la realizzazione di effetti speciali durante gli spettacoli.
Di fronte all'ingresso all'anfiteatro si trova la chiesetta preromanica di S. Nicolò dei Cordari (XI sec.) sul cui lato destro è visibile la piscina romana utilizzata per allagare l'anfiteatro in occasione delle naumachie e per pulire l'arena al termine dei combattimenti tra gladiatori e belve feroci.

Tomba di Archimede - Visibile solo dall'esterno da via Romagnoli, angolo via Teracati. All'estremità orientale della Latomia Intagliatella si estende la Necropoli Grotticelli. Tra le cavità ricavate nella roccia, se ne evidenzia una particolare, dall'entrata abbellita da colonne doriche (molto rovinate) e da un frontone a timpano. E' la cosiddetta Tomba di, Archimede, in effetti un colombario (ambiente con nicchie destinate ad accogliere urne funerarie) di epoca romana.

Le Latomie

Le latomie, dal greco litos: pietra e temnos: taglio, sono le antiche cave da cui venivano ricavati i blocchi di pietra calcarea utilizzati per la costruzione di edifici pubblici e grandi dimore. Dopo aver scelto la zona che offriva la possibilità di estrarre conci regolari e di buona qualità, si dava inizio allo scavo. Per estrarre la pietra si ricavavano delle fenditure nelle quali venivano inseriti cunei di legno. Si provvedeva poi a bagnare il legno che aumentava così di volume spaccando la pietra.
Per trovare strati di pietra più compatta, lo scavo veniva condotto in profondità, mediante l'apertura di grotte sempre più imponenti. Per sostenere la volta di copertura di queste cavità, venivano lasciati pilastri ricavati dalla roccia stessa. Si calcola che in questo modo fosse possibile ottenere quantità impressionanti di materiale. Una volta terminato lo scavo questi ambienti venivano utilizzati come prigioni, come riferisce anche Cicerone nelle Verrine. E' molto probabile che il luogo in cui vennero segregati i 7000 Ateniesi fatti prigionieri nel 413 a.C. fossero proprio le latomie. Rinchiusi per otto mesi, perirono tutti, tranne alcuni che ebbero la fortuna di essere venduti come schiavi e pochi altri che, narra la leggenda, seppero citare i versi di Euripide a memoria. Si deve inoltre pensare che a quei tempi l'aspetto delle grotte era sicuramente diverso: esse erano più ampie, più tetre e più adatte allo scopo, mentre quello che vediamo oggi è il risultato di crolli dovuti soprattutto a scosse telluriche. Nelle epoche successive questi spazi vennero invece utilizzati per cerimonie funerarie, come rifugio e poi come aree coltivabili e solo ultimamente si è pensato di rivalutarne l'importanza storica e recuperarle.
Tracciando una mappa di tutte le latomie (ne sono state individuate 12, ma alcune sono state " seppellite" dalle costruzioni), si nota che esse si dispongono lungo una sorta di arco che corrisponde al profilo della terrazza calcarea che si eleva approssimativamente al confine dei due antichi quartieri di Neapolis e Tyche.
La più suggestiva è la Latomia del Paradiso che si trova nel Parco Archeologico. Si tratta in effetti di un insieme di cave attorno alle quali è sorto un delizioso giardino. Dall'alto (di fianco al teatro greco) si riesce ad avere una visuale complessiva ed a distinguere alcuni dei pilastri che sorreggevano la volta di copertura delle grotte, crollata in seguito a movimenti tellurici.
Procedendo lungo la linea, verso est, si incontrano la Latomia Intagliatella, la Latomia di S. Venera, la Latomia del Casale e la Latomia dei Cappuccini, forse la più grandiosa e spettacolare grazie alle alte pareti scoscese.

MUSEO ARCHEOLOGICO REGIONALE PAOLO ORSI

Situato, quasi nascosto alla vista, nel parco di Villa Landolina, il museo rappresenta uno dei punti di riferimento fondamentali per la conoscenza del periodo preistorico della Sicilia fino ai tempi delle colonie di Siracusa.
La visita si articola lungo un percorso che segue la nascita e lo sviluppo delle varie fasi in ordine cronologico. Le tre sezioni principali, ben strutturate, sono correlate da una zona introduttiva centrale, sotto la quale, nell'interrato, si trova un auditorium nel quale vengono proiettati audiovisivi (programmazione all'entrata).

Settore A: preistoria e protostoria - Aprono la visita le raccolte di materiale fossile e di minerali, scheletri e resti di animali preistorici corredati di ampie schede informative sulla fauna insulare. Si passa quindi alle testimonianze umane nel paleolitico e neolitico e alle varie culture susseguitesi. Si tratta soprattutto di manufatti in ceramica tra i quali emerge un grande vaso su un piede molto alto della cultura di Pantalica: in ceramica monocroma rossa e lucida ha una linea molto semplice ed elegante. Chiudono questa prima parte i "ripostigli", insieme di oggetti di bronzo (punte di lance, cinturoni, fibbie) racchiusi in un contenitore e nascosti alla vista (sottoterra o in un anfratto).

Settore B: la colonizzazione greca - Vengono presentati reperti che testimoniano la nascita e lo sviluppo delle colonie greche nella Sicilia orientale. Tre sono le colonie ioniche: Naxos, Katane e Leontinoi. Da quest'ultima proviene il bel Kouros acefalo in marmo. Due invece le colonie doriche: Megara Hyblaea e Siracusa, particolarmente rappresentate. La singolare statua della Dea Madre che allatta due gemelli (VI sec. a.C.), in calcare, proviene dalla necropoli di Megara Hyblaea. Acefala, seduta, ha un corpo imponente e materno che si allarga ad accogliere e contenere i due neonati che sembrano quasi divenire un tutt'uno con lei. La collezione dedicata a Siracusa è molto ricca e comprende due dei reperti più spesso riprodotti: la lastra fittile a bassorilievo policromo di una gorgone, proveniente dal Temenos deIl'Athenaion, ed il cavallino in bronzo, simbolo del museo, ritrovato nella necropoli del Fusco. Prima della sezione dedicata alla colonia di Siracusa è esposta (provvisoriamente) la Venere Anadiomede, detta Venere Landolina dal nome dello scopritore. Copia romana di un originale di Prassitele largamente utilizzato come modello nell'antichità (Venere Medici, Venere Capitolina), ha linee sinuose e gentili. La grazia del gesto con cui sorregge il drappo è sottolineata dal delicato panneggio plissettato che sembra suggerire, nella forma, una conchiglia.

Settore C: subcolonie e centri ellenizzati - La prima parte, dedicata alle subcolonie di Siracusa, presenta belle figure antropomorfe tra cui quella di un cavaliere a cavallo. La seconda invece illustra la storia dei centri minori. Spicca la grande figura fittile di Demetra o Kore assisa in trono, opera della seconda metà del VI sec. a.C. L'ultima parte è dedicata ad Agrigento e Gela. Da quest'ultima provengono l'imponente maschera di Gorgone dipinta, elemento del fregio decorativo di un tempio ed una bella pelike attica a figure rosse, opera di Polignoto.
Tre statuette arcaiche in legno provenienti da Palma di Montechiaro costituiscono un raro esempio di arte votiva probabilmente diffusa, ma poco testimoniata a causa della deperibilità del materiale con cui veniva creata.

A PASSEGGIO PER "TYCHE" E "ACRADINA"

Museo del Papiro - La riscoperta del papiro a Siracusa è da attribuirsi a Saverio Landolina che, nel XVIII sec., rivaluta la presenza della pianta, utilizzata fino a quel momento a scopo decorativo dalla popolazione locale, e riesce a riprodurre il processo di fabbricazione della carta (nel museo ve ne sono parecchi esempi).
Il materiale esposto nel museo copre tutti gli ambiti di utilizzo del papiro, dagli scritti di epoca faraonica (tra cui alcuni frammenti del Libro dei Morti), ai manufatti in corda, ai ventagli, alle stesse varietà della pianta, alle imbarcazioni leggere, adatte soprattutto alle zone paludose, con estremità leggermente rialzate ed ancora utilizzate per caccia e pesca da alcune popolazioni africane. L'ultima parte è dedicata alla carta: dalla sua fabbricazione (ricostruzione di un tavolo da lavoro) ai pigmenti e strumenti utilizzati dallo scriba.

Catacombe di S. Giovanni - Sorgono nella zona di Acradina, che fin dal periodo romano è stato luogo deputato al culto dei morti. Al contrario delle catacombe romane, scavate in fragile tufo e quindi forzatamente anguste (per scongiurare il pericolo di crolli), quelle siracusane sono state scavate in uno strato di solida roccia calcarea che permise il crearsi di ampi spazi.
Le Catacombe di S. Giovanni, sorte intorno alla tomba di S.Marciano, uno dei primi martiri, hanno una struttura complessa e risalgono al IV-V sec. Si costituiscono intorno ad un rettilineo principale ricavato seguendo il tracciato di un acquedotto greco probabilmente in disuso. Da esso si staccano, ad angolo retto, i cardini minori. I sepolcri si trovano lungo le pareti e sono ad arcosolio e polisomi, cioè a più "posti", fino ad un numero massimo di venti. Tra l'uno e l'altro si trovano loculi più piccoli e meno profondi destinati ai bambini. Ad intervalli si aprono aree circolari o quadrate, utilizzate dai cristiani come camere sepolcrali di martiri e santi. Tra queste la più nota è la Rotonda di Adelfia, ove è stato ritrovato un bellissimo sarcofago scolpito con scene bibliche (in attesa di collocazione probabilmente al 2° piano del Museo Archeologico). Lungo il tracciato si incontrano inoltre cisterne coniche di epoca greco-romana trasformate poi in cubicoli.

Cripta di S. Marciano - Si trova vicino alla necropoli, ove si suppone sia stato ucciso il martire. A croce greca è circa 5 m sotto il livello del terreno. La parete di fondo si apre in tre piccole absidi semicircolari. In quella di destra si trova l'altare dove si dice abbia predicato l'apostolo Paolo al suo ritorno da Malta, nel 60 d.C (Atti degli Apostoli, cap. 28, 12). Di fianco, sul lato destro si trova un sepolcro in muratura che la tradizione identifica come quello del martire. Si tramanda che la finestrella sul lato permettesse ai fedeli di vedere e passare un panno sul corpo del santo per poi conservarlo come reliquia. Ai quattro angoli della volta centrale si elevano pilastri sormontati da capitelli bizantini con la raffigurazione dei quattro evangelisti.

Basilica di S. Giovanni Evangelista - Sorge sopra la cripta. Diroccata e scoperchiata, è uno dei luoghi più affascinanti di Siracusa e la suggestione si fa più intensa al tramonto soprattutto dei giorni festivi, al momento delle celebrazioni religiose. Le origini della basilica sono legate alla cripta del martire, sopra la cui sepoltura si era soliti edificare un luogo di culto. Distrutta dagli Arabi, la basilica è stata ripristinata dai Normanni. La facciata della chiesa normanna, ornata di un bel rosone, è ancora visibile lungo il lato sinistro. Il terremoto ha distrutto gran parte della chiesa e ha fatto crollare il tetto, non più ricostruito. Il portico che precede la facciata è una ricostruzione fatta utilizzando materiale deI '400.
All'interno l'altare principale, fiancheggiato da un'euforbia a candelabro, è bizantino.

Basilica di S. Lucia extra Moenia - Si affaccia sull'omonima piazza, grande spazio rettangolare pervaso di tranquillità. La tradizione vuole la sua edificazione nello stesso luogo del martirio della santa awenuto nel 303 e testimoniato dalla tela di Caravaggio (oggi a palazzo Bellomo). Bizantina, è stata rimaneggiata in seguito, fino alla sua forma attuale, che risale al XV-XVI sec. Le parti più antiche ancora esistenti sono il portale della facciata, le tre absidi semicircolari e i primi due ordini del campanile (XII sec.). Il soffitto ligneo a capriate con decorazioni dipinte risale al XVII. Sotto la chiesa sussistono le Catacombe di S. Lucia (non visitabili), presenza che avvalorerebbe la tesi del martirio in questi luoghi.
Sulla stessa piazza, un piccolo edificio ottagonale, opera di Vermexio, è il sepolcro destinato alla Santa, i cui resti, portati a Costantinopoli nell'XI secolo dal generale bizantino Maniace, poi a Venezia in seguito alla presa della città durante la quarta crociata, sono oggi conservati nel Duomo.

Santuario della Madonna delle Lacrime - Visibile fin da lontano per la sua struttura conica in cemento armato, imponente (80 m di diametro alla base per 74 di altezza) e singolare, il santuario è nato in seguito ad un evento prodigioso awenuto nel 1953 (la lacrimazione di un quadro della Madonna) ed è meta oggi di numerosi fedeli. E opera degli architetti francesi M. Andrault e P. Parat e dell'italiano R. Morandi che si è occupato della parte strutturale. All'interno la vertiginosa sensazione di altezza viene sottolineata e valorizzata dalle linee verticali e dalle strette finestre che corrono verso l'apice.

Ginnasio Romano - Si trova lungo via Elorina, poco oltre il Foro Siracusano, e, come quest'ultimo. faceva parte dell'antica agorà di Acradina. La denominazione è errata. Si tratta in realtà di un edificio complesso formato da un quadriportico, un piccolo teatro di cui sono ancora visibili i gradini della cavea ed un tempietto marmoreo che costituiva la scena.

"EPIPOLI"

Castello di Eurialo - Lungo via Epipoli, in località Belvedere, a 9 km ca a nord-ovest. La strada che raggiunge la fortezza, permette di rendersi conto dell'imponente aspetto difensivo che la città assume sotto Dionisio il Vecchio. L'abile stratega, oltre a fortificare Ortigia. decide di cingere la città di mura inglobando anche i due quartieri di Tyche e Neapolis, fino a quel momento extra-moenia. e quindi facili prede di attacchi. In quest'ottica dà inizio alla costruzione delle imponenti mura dionigiane (27 km) lungo l'altopiano dell'Epipoli, che racchiude a nord la città. La cinta era costituita da due pareti parallele di blocchi squadrati di pietra calcarea il cui interstizio era riempito di pietrame. Alta 10 m e larga circa 3 m. era provvista di postierle che assicuravano il passaggio senza offrire al possibile nemico un facile punto di attacco, come invece potevano essere le porte (proprio per questo erano affiancate da torri difensive). Un tratto delle mura è visibile lungo la strada che conduce a Belvedere (sulla sinistra).
Sulla sommità dell'altipiano viene edificato il castello, chiamato Eurialo dal nome del promontorio su cui sorge, a forma di testa di chiodo (gr. Euryelos). La fortezza è una delle più imponenti dell'antichità. Tre erano i fossati da superare prima di giungere al mastio, cuore della fortezza, e percorsi da gallerie sotterranee che rendevano impossibile controllare il passaggio delle guarnigioni e dei rifornimenti e facilitavano lo sgombero dei materiali che i nemici gettavano nei fossati, Il nemico, se mai fosse riuscito ad entrare, sarebbe rimasto disorientato. L'ingresso della zona archeologica coincide con il primo di quei fossati. Poco più avanti si delinea il secondo, profondo, dalle pareti verticali ed infine il terzo, vera e propria opera strategica. Quest'ultimo presenta tre piloni alti e ben squadrati che testimoniano l'esistenza di un ponte Ievatoio comunicante con l'area del mastio. Il lato orientale è percorso da una serie di gallerie comunicanti una delle quali, lunga addirittura 200 m, giungeva fino alla porta a tenaglia (Tripylon), una delle uscite della fortezza. Lungo il lato occidentale del fossato si aprivano invece dei vani adibiti a deposito per le vettovaglie.
Alle spalle si erge il mastio quadrato, preceduto da un imponente schieramento di cinque torri difensive. Oltre il mastio si penetra in un recinto con ancora visibili, sulla destra, tre cisterne quadrate. Sulla punta estrema, si gode di un bel panorama su Siracusa (di fronte) e, a sinistra, sulla piana.

FUORI CITTA'

Tempio di Giove Olimpico - Lungo via Elorina, a circa 3 km dalla città, alla fine di una stradina che si diparte sulla destra (indicazione).
In posizione panoramica, leggermente sopraelevato, il tempio è stato costruito intorno al VI sec. a.C. L'aspetto, grandioso, doveva essere pari all'importanza che l'edificio rivestiva.

Fonte Ciane - 8 km a sud-est. La foce del Ciane, che quasi si unisce al vicino fiume Anapo, principale collegamento con la zona interna di Pantalica è il punto di partenza per l'escursione in barca che permette di risalire un tratto del corso d'acqua. Appena partiti si giunge in vista del porto grande di Siracusa (bel panorama) per poi proseguire lungo un tratto ove la vegetazione è ricca di canne, frassini secolari ed eucaliptus. Poi, oltre una chiusa, ci si immerge in una rigogliosissima "folla" di papiri che si china sull'acqua. E' qui che secondo il mito la ninfa Ciane, legata ad Anapo, si oppone al rapimento di Persefone da parte di Ade e viene per questo tramutata in sorgente.

STORIA

Colonizzata intorno all'VIII sec. a.C. dai Greci di Corinto che si stanziano sull'isola di Ortigia. Siracusa cade ben presto in mano a tiranni. Al momento del suo massimo splendore (V-IV sec. a.C.) la città conta circa 300.000 abitanti e domina la Sicilia. Tra il 416 ed il 413 si scatena un furioso conflitto tra Siracusa ed Atene, i cui guerreri sono capeggiati da Alcibiade. E' uno degli episodi più famosi e cruenti della storia antica. Passata ai Romani, viene poi occupata dai barbari, dai Bizantini, dagli Arabi e dai Normanni.

I tiranni di Siracusa - Il tiranno, figura antica che corrisponde all'odierno dittatore, è uno dei personaggi che spesso si incontra ripercorrendo la storia della Sicilia in periodo ellenistico ed in particolare di Siracusa. Gelone, già tiranno di Gela, nel 485 a.C. estende il suo dominio su Siracusa. Le sue mire espansionistiche causano l'ostilità dei Cartaginesi che si trasforma ben presto in aperto scontro. Gelone, alleatosi con Terone, tiranno di Agrigento, riesce a sconfiggerli nella celebre battaglia di Himera (485 a.C.). Gli succede il fratello Ierone che durante il suo governo aiuta Cuma a sbarazzarsi della minaccia etrusca (474 a.C.).
Dopo un breve periodo di democrazia caratterizzato da scontri con Atene, sale al trono il famoso Dionisio il Vecchio (405-367). Stratega accorto, basa il suo governo sul consenso popolare, ottenuto attraverso regalie e favori, e sulla sua figura di difensore contro il pericolo punico, che però non riesce a sgominare. Sotto di lui Siracusa diviene una vera e propria potenza. Da un punto di vista personale, invece, appare come una figura sospettosa, timorosa di complotti contro di lui. Le paure divengono vere e proprie manie di persecuzione e sfociano nella sua volontaria reclusione nel castello di Ortigia, da lui resa fortezza inespugnabile e dimora riservata alla corte. La sua storia è costellata di stranezze che danno adito a numerose dicerie, a metà tra la leggenda e la realtà. Narrano quindi Valerio Massimo, Cicerone e Plutarco che, non fidandosi dei barbieri, il tiranno affida alle figlie il compito di raderlo, ma, intimorito che esse stesse possano ucciderlo, le obbliga ad utilizzare gusci di noci arroventati al posto di coltello e cesoie; fa scavare intorno al talamo nuziale un piccolo fossato con un ponticello che toglie dopo essersi coricato e, per dimostrare come la vita di un regnante sia densa di pericoli, fa appendere sopra il capo di Damocle, cortigiano invidioso, una spada affilata e sostenuta da un semplice crine di cavallo (da qui la locuzione Spada di Damocle utilizzata per esprimere l'incombere di una minaccia). La sua cupidigia lo porta persino, si dice, ad appropriarsi del mantello aureo della statua di Zeus e a farlo sostituire con uno di lana.
Alla sua morte sale il figlio, Dionisio il Giovane, non dotato delle stesse capacità politiche del padre, seguito dal sanguinario Agatocie, che per prendere il potere non esita a massacrare gli aristocratici. Anche il suo tentativo di scacciare i Cartaginesi dalla Sicilia si rivela vano (sconfitta ad Imera nel 310 a.C.)
L'ultimo dei tiranni a governare Siracusa è Ierone II. Nel 212 la città passa nelle mani dei Romani sotto i quali diviene capitale della provincia di Sicilia.

Le distrazioni di Archimede - Della vita di Archimede, celebre matematico nato a Siracusa nel 287 a.C., non si hanno notizie certe. Si narra che fosse così distratto ed assorto nei suoi studi da dimenticare persino di bere e di mangiare. I suoi servitori erano costretti a trascinarlo a forza ai bagni ed anche là continuava a tracciare figure geometriche disegnando nella cenere. E' nella sua vasca da bagno che scoprì il principio che lo rese famoso: un corpo immerso in un liquido riceve una spinta uguale e contraria al peso del volume di liquido spostato. Raggiante si alzò di scatto e uscì di casa correndo ed urlando "Eureka" (ho trovato!).
Si occupò di aritmetica, geometria, fisica, astronomia ed ingegneria. Tra le sue invenzioni meccaniche vi sono la coclea (o vite di Archimede), un cilindro contenente una superficie elicoidale, la ruota dentata, le sfere celesti e gli specchi ustori, un gioco di lenti e specchi con i quali riuscì ad incendiare la flotta romana. Si narra inoltre che quando i Romani riuscirono a penetrare nella città, Archimede, immerso nei suoi calcoli, non se ne accorse e morì trafitto dalla spada di un soldato.

Le muse di Siracusa - Durante il periodo antico la città svolge un ruolo fondamentale per le arti. Molti dei regnanti infatti si interessano anche dell'aspetto artistico ed accolgono poeti e scrittori. C'è anche chi, come Dionisio il Vecchio, si cimenta nello scrivere, pur senza grande successo. Il primo ad interessarsi concretamente all'arte è Ierone I che si proclama protettore dei poeti e riceve alla sua corte artisti del calibro di Pindaro e Eschilo, padre della tragedia antica ed autore dei Persiani (470 a.C ca) e delle Etnee, rappresentati nel teatro greco che sorge nel quartiere di Neapolis. Platone ha con Siracusa, ma soprattutto con i suoi regnanti, un rapporto travagliato. Dionisio il Vecchio lo accoglie a malincuore, per poi espellerlo poco dopo: alla sua morte il filosofo ritorna (protetto dal reggente Dione), ma anche questa volta viene espulso da Dionisio II e fallisce il suo progetto di creare uno stato filosofico. Teocrito, iniziatore di quella poesia bucolica in cui poi brillerà Virgilio, è probabilmente originario della città. In tempi più recenti Siracusa dà i natali a Salvatore Quasimodo (1901-1968), poeta pervaso del malessere di vivere che esprime con versi sempre più ermetici e incisivi che gli valgono, nel 1959, il Premio Nobel.

TURISMO

Siracusa dal mare - E' possibile compiere il giro del Porto Grande e dell'Ortigia, affidandosi alla Motonave Selene che da marzo a novembre (ed oltre, se il tempo ed il mare lo permettono) naviga sottocosta offrendo una visuale ed una prospettiva diversa della città. Il giro, della durata media di 35 min, può essere "allungato" a piacere ed includere, su prenotazione, il pranzo o la cena. Particolarmente suggestivo il percorso nelle ore del tramonto o di notte quando i singoli punti di interesse vengono di volta in volta illuminati. E bene sottolineare che questo è anche l'unico modo per avere piena visione ravvicinata del Castello Maniace che, in quanto caserma militare, non è visitabile nè visibile dalla terraferma (se non dal lungomare di Levante).

Non solo alberghi - Il Domus Mariae è un piccolo ed elegante albergo gestito da religiose, proprio nel cuore di Ortigia. La zona di Siracusa e provincia offre una serie di alternative al più tradizionale albergo, quali il campeggio ed i centri agrituristici. Gli indirizzi e le caratteristiche sono disponibili presso l'Azienda Provinciale per l'Incremento Turistico di Siracusa. E per cenare si consiglia di restare in Ortigia ove i vicoli nascondono ristoranti caratteristici.

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