Raggiungere il Myanmar per il viaggiatore occidentale non è difficile: il visto valido 28 giorni si può ottenere sia all’ambasciata di Roma che a Bangkok. Ottenerlo non presenta grosse difficoltà, se non dichiarate di essere giornalisti, o cineasti. Il carattere autoritario della “Giunta” governativa infatti non gradisce brutta pubblicità. Senza accorgervi avrete passato i controlli doganali, e mentre dalla pista sulla quale siete atterrati decolla un jet militare che sembra risalire alla seconda guerra mondiale, voi tenterete di restare attaccati ai vostri bagagli, presi in consegna da decine di ragazzi in cerca di una mancia per portarli al vostro taxi. Non avendo una singola moneta locale, se non i costosissimi FEC, deciderete di portarveli voi, aprendovi la strada a fatica e traballando in mezzo a questi uomini in gonna, o meglio longee indumento della gran parte della popolazione.
Yangon, una volta si chiamava Rangoon, la capitale. Dal finestrino del taxi vi sembra una cittadina immersa nel verde. In effetti i sobborghi alberati di capanne di legno nascondono i quattro milioni di persone che ci vivono, o sopravvivono. Avvicinandovi al centro noterete alcuni resti dell’architettura coloniale e muraglioni sorvegliati che nascondono chissà cosa. La moltitudine di veicoli diversi che si apre la strada a colpi di clacson danno l’impressione di un apparente scorrevolezza, in realtà più simile all’amalgamarsi dei fluidi che non a quella di mezzi “solidi”.
Per strada la popolazione si dimostra cordiale, e noterete con un po’ d’imbarazzo l’attenzione che vi è riservata. Qui ancora non si vedono molti occidentali. Non troverete molta gente che vi ferma cercando di vendervi di tutto. Potrà capitarvi di incontrare qualcuno che si presenta come guida: a volte corrisponde a verità, altre potrebbe trattarsi di una spia governativa. Sarà il vostro istinto a guidarvi nelle vostre scelte, e la prudenza nel non invischiarvi in discorsi politici vi aiuterà ad evitare situazioni spiacevoli.
Nel centro città è Shwedagon Paya, una delle più importanti pagode buddiste. L’area di questo complesso è enorme: all’ interno si trovano decine di tempietti ed altari dedicati a diverse statue di Budda, ma anche ai Nat, le divinità anteriori al buddismo di tipo animistico del Myanmar. La pagoda è attivissima a tutte le ore, ma in particolar modo all’alba ed al tramonto. I fedeli vengono a pregare e benedire le immagini associate con il loro giorno di nascita. Portano offerte di fiori e incenso ad uno dei centinaia di altari che circondano l’enorme Pagoda.
Si racconta che nel VI secolo a.C. due fratelli portarono dall’India otto dei capelli del Budda e la Pagoda venne innalzata per custodirli. Si tratta di una struttura di novant’otto metri, ricoperta da quattordici tonnellate di oro, con in cima un diamante grande come un cuore. Cercate di non perdervi l’ora mattutina, è in quel momento che più coglierete l’ essenza di questo posto. Shwedagon non è solamente un luogo sacro: qui la gente si incontra, medita, o semplicemente trascorre alcune ore nel posto che più che mai sente “proprio”. Il marmo, l’oro, le luci e gli specchi sono patrimonio collettivo, e forse aiutano ad accettare le privazioni e sofferenze che esistono fuori.
Aggirandosi per la città in una qualsiasi ora del giorno al turista più attento non sfuggirà la particolarità dei grossi mercati come il Bogyoke Market con le loro stoffe e manufatti di ogni genere. Nelle vie del centro affollate di negozi ed officine troverà artigiani, sarti, calzolai o riparatori di televisori ed apparecchiature elettriche. Sui marciapiedi donne con piccoli banchi di legno vendono sigari e sigarette. Uno stoppino di corda serve da accendino per il passante distratto e molti comprano quel misto di foglie e pastiglie che masticano come fosse tabacco. Ogni bottega ha il suo piccolo generatore di corrente sistemato all’ingresso, e durante uno dei molti black-out quotidiani l’improvviso seppur fastidioso aumento di fumi e rumore rende l’atmosfera del tutto particolare.
Sulle strade sfrecciano (si fa per dire...) pick-up stracolmi di gente aggrappata dentro e fuori: fanno parte del complesso sistema di trasporti pubblici locali, sostituiscono i nostri autobus con un comfort forse appena inferiore. La sera, nella fioca luce elettrica che illumina alcune delle strade principali la città assume ancora un altro colore. Dopo la lunga giornata potrete godervi un pasto in uno dei molti ristoranti locali. I piatti a base di pollo e verdure, riso fritto o bollito, e zuppe con pezzi di carne sono tutti ottimi e gustosi, ma un consiglio: chiedete al cuoco di non farli troppo piccanti. La loro dose minima è in genere ben più alta di quella che noi “avventurieri” riusciamo a tollerare!
Un intenso e completo itinerario che comprende i luoghi di maggior interesse delle Birmania come il lago Inle, i Templi della Valle di Bagan, Yangon e Mandalay.
YANGON (ex Rangoon)
Fondata dai Mon, col nome di Dagon, seguì le sorti della Birmania, crescendo di importanza molto velocemente nel tempo grazie alla sua posizione. Passò sotto l'occupazione Pyu, poi Birmana, poi Mongola poi di nuovo Birmana. Capitale fino al 2006 quando la sede del governo fu spostata a Naypyidaw.
LAGO INLE
E’un lago di acqua dolce situato nelle montagne dello Stato Shan. Il lago è famoso per il suo bellissimo paesaggio ed unico per i suoi percorsi attraverso la pagoda di Phaung Daw Oo, il monastero di Ngaphae Chaung, famoso per i suoi gatti ammaestrati, i giardini e gli orti galleggianti. Sul lago si potrà inoltre osservare il metodo di pesca dei rematori “a gamba”, il tradizionale lavoro di tessitura e la tipica vita di villaggio lacustre.
MANDALAY
Mandalay fu fondata nel 1857 dall'imperatore Mindon Min come capitale dell'ultimo Regno di Birmania indipendente. Fu costruita su una collina e racchiusa da imponenti mura tanto da sembrare un forte molto ben difeso. Era una città conosciuta come "metropoli del Buddismo". Potremmo ammirare la Pagoda di Mahamuni, una delle più venerate con la sua statua del buddha dorato; il monastero Shwenandaw, interamente costruito in legno con pannelli intarsiati e antico luogo di meditazione del re Mindon Min; la pagoda Kuthodaw, conosciuta anche come “il più grande libro del mondo” scritto su lastre di marmo contenenti scritture buddiste.
AMARAPURA
Amarap
ura “La Città dell’immortalità”, era la capitale del Myanmar per tre periodi distinti durante la dinastia Konbaung nei secoli XVIII e XIX. Anche se storicamente denominato Taungmyo (Città del Sud) in relazione a Mandalay, Amarapura oggi è parte di Mandalay, a seguito della proliferazione urbana.
Visiteremo il monastero di Mahagandayon dove si potranno vedere centinaia di monaci consumare il loro pasto in silenzio, il Ponte di U Bein, il più lungo ponte realizzato in legno tek e le botteghe di artigianato per la lavorazione della seta.
BAGAN
Antica capitale e culla della cultura birmana. Il tempio di Ananda, capolavoro d’architettura con forma simile ad una croce greca, il Thatbyinnyu, il più alto dei templi di Bagan e la pagoda di Bypaya, in stile Pyu, situata sulle sponde del maestoso fiume Ayeyarwady, inoltre la pagoda di Shwezigon, prototipo dell’ultima civiltà birmana; il tempio di Wetky-In Gubyakkyi, tipico per le sue mura dipinte con scene di jataka, il tempio di Htilominlo, famoso per le sue sculture in gesso e la porta dell’antica città di Tharaba, il più antico esempio della cultura di Bagan, il tempio di Myinkaba Gubyaukkyi, tipico esempio dello stile Mon, il tempio di Manuha, testimonianza della vita in prigione del re, il tempio di Nanpaya, un recente capolavoro con sculture in pietra, la pagoda di Seinnyet Hyima e Seinnyet Ama, templi dallo squisito design.
LA RELIGIONE IN BIrmania
La Birmania è un paese multi-religioso. Quella Theravāda è la tradizione buddhista più diffusa, a cui sono stati aggiunte credenze locali. Secondo il governo militare, è praticata dal 89% della popolazione, specialmente fra Bamar, Rakhine, Shan, Mon e Cinesi.
In qualsiasi villaggio birmano tradizionale, il monastero è il centro della vita culturale e i monaci sono venerati anche dai laici. Per un ragazzo che diventa monaco si esegue una cerimonia chiamata shibyu ed è il suo più importante rito di crescita. Alla stessa età le ragazze svolgono delle cerimonie in cui si perforano i lobi delle orecchie. La cultura birmana è più evidente nei villaggi in cui queste cerimonie si compiono in tutto l'arco dell'anno, specialmente nelle pagode.
Birmania – La Pagoda Dorata a Yangon
Birmania La Cartina Geografica
La Montagna Sacra
Per raggiungere la montagna sacra, Kyaik-Hti-Yo, ci vogliono circa quattro ore di auto dalla capitale.
Lasciandovi alle spalle la capitale e dirigendovi verso oriente è il momento di fare la conoscenza delle strade birmane, un asfalto precario su una larghezza ridotta costituisce una delle più importanti vie di comunicazione del paese. L’asfalto è preparato in grossi bidoni, sistemati su di un fuoco di fortuna per renderlo morbido e distenderlo. Sulla strada incontrerete ogni mezzo di locomozione, vi saranno biciclette, carri trainati da buoi, camion stracolmi di merci e persone, mini trattori con a bordo almeno venti persone. Il tutto sotto un sole cocente. La strada si estende per centinaia di chilometri, attraverso piane secche e polverose.
Le case sulle palafitte testimoniano le alluvioni annuali durante la stagione delle piogge ma adesso sono poche le piroghe di legno che percorrono il fiume quasi prosciugato. Spesso s’incontrano gruppi di ragazzini giocare in quelle acque fangose a fianco di donne che lavano i panni. Passerete attraverso villaggi dove il principale mezzo pubblico è il risciò. Le auto private sono quasi inesistenti al di fuori delle grandi città. Giovani con grossi bidoni sistemati su vecchie ruote d’auto trasportano l’acqua attinta nell’unico pozzo collettivo. Le fermate di ristoro sono affollate da viaggiatori, merci e animali. L’odore acre del fumo si mescola a quello dei cibi cotti sul fuoco, delle spezie e della polvere nell’aria. Poco oltre in un’officina di riparazione pneumatici riparano l’ennesimo foro in un copertone che pare una levigata ciambella.
La vostra meta è la montagna sacra, Kyaik-Hti-Yo: ci vogliono circa quattro ore di auto dalla capitale. Un camion merci attrezzato con assi sulle quali sedersi è il trasporto per i pellegrini dalla base del monte fin sotto la cima. La distanza tra un asse e l’altro è talmente stretta che ha fatica riuscirete ad infilarci un piede, ma l’ebbrezza della corsa, e lo stupore dei vostri nuovi compagni di viaggio valgono bene la scomodità di quel sedile di fortuna. Il camion-trasporto si ferma ad un tre quarti d’ora dalla sommità: qui svetta il Balancing Boulder, un masso di dieci metri di diametro in bilico sull’orlo del precipizio, adorato dai pellegrini e interamente ricoperto di oro. I fedeli pregano, applicano piccoli fogli d’oro sulla pietra, lasciano le loro preghiere scritte su foglietti arrotolati intorno a sottili rami di bambù ed incastrati sotto la roccia. Ad ogni piccolo movimento del masso questi bastoncini flettono e si muovono. Le donne rimangono in preghiera poco lontane, mentre alcuni uomini portano le loro offerte sulla Roccia Dorata.
La cima della montagna possiede diverse aree dedicate alla preghiera e alla riflessione. La gente arriva qui anche da molto lontano, alcuni fanno viaggi di giorni per venire ad adorare questo importantissimo sito Buddista. E molti trascorrono anche tutta la notte all’aperto, seppure esistano ostelli nel piccolo paesino sottostante all’area sacra. L’intero arco della giornata vede pellegrini che arrivano in una processione quasi continua. Di particolare spettacolarità sono sia il tramonto che l’alba, quest’ultima con una cerimonia mattutina che accoglie il sole ed il nuovo giorno sullo scenario stupendo della Golden Rock. Dopo lo spuntare del sole dal lato nord della montagna noterete uno splendido panorama di basse nubi sul fondo delle valli sottostanti. L’aria fresca del mattino e l’atmosfera sacra che si respira in questo luogo saranno una sensazione che difficilmente dimenticherete nella vita.
Scendendo verso la pianura sottostante è impossibile non notare il gran numero di piccole pagode sparse lungo i fianchi di queste montagne. Guardandovi intorno cercherete la direzione della vostra prossima meta, verso nord. Per qualche centinaio di chilometri vi aspettano paesi di legno, risaie in attesa delle prossime piogge e persone dal sorriso sincero.
Myanmar, la terra dorata
Golden Land, terra dorata e quasi sconosciuta al turismo moderno. Su di essa hanno scritto Marco Polo, Kipling e Orwell. Le sue bellezze e il suo mistero hanno affascinato generazioni di viaggiatori. Siamo in Myanmar, nell’Asia del misticismo che si svela tra pagode e infinite statue di Budda.
L’ex Birmania, oggi Myanmar, è la Golden Land, terra dorata e quasi sconosciuta al turismo moderno. Su di essa hanno scritto Marco Polo, Kipling e Orwell. Le sue bellezze ed il suo mistero hanno affascinato generazioni di viaggiatori e le sue ricchezze hanno fatto gola a conquistatori potenti, come il Kublai Kahn o la West Indie Company. Qui troverete città con il fascino di un epoca passata, come la capitale Yangon.
Viaggiando verso l’interno in auto, in treno, o con un battello sul maestoso fiume Ayerarwady scoprirete lentamente un paese che vi segnerà il cuore. Lo custodisce un popolo che da generazioni coltiva una terra difficile e aspra. Vedrete bufali d’acqua che trainano pesanti carri in legno, villaggi fatti di foglie di palma, case su palafitte e fiumi in secca, oggetti preziosi e rituali millenari. Troverete luoghi di culto spettacolari e impressionanti, tracce di civiltà ormai scomparse, pozzi petroliferi in aree desertiche, piantagioni di palme e risaie.
Incontrerete persone che vi guarderanno con curioso interesse, e vi stupirete nel credere di essere uno dei pochi stranieri cha abbiano mai incontrato. Potreste spingervi a vedere elefanti nelle foreste di teak, o piccoli villaggi su montagne inaccessibili. Imparerete a gestirvi in un paese che utilizza ben tre monete diverse: Il FEC (studiata per i turisti), il Kyath, utilizzata dalla gran parte della popolazione e il Dollaro americano, la più amata e desiderata. Scoprirete che è inutile cercare di fissare un cambio equo tra il Dollaro ed il Kyath, ma a conti fatti sarete sbalorditi ad accorgervi che un pasto vi è costato meno di un caffè.
Lasciando Yangon, la capitale, proverete una nostalgia ed un senso di vuoto. Lascerete un paese ed un popolo che ancora oggi vive sotto il controllo di una delle peggiori dittature al mondo. Tornerete a casa con la voglia di fare qualcosa, di far conoscere a tutti le meraviglie della Birmania. Vorrete che il vostro viaggio non sia solo un trofeo con cui vantarsi davanti agli amici, ma un’esperienza unica di cui farli partecipi.
Pochi, parlando della Birmania, si ricordano di scrivere quali sono le condizioni di questo popolo. Il silenzio non informa sulle tragedie passate negli ultimi anni. Esiste un regime militare che governa il paese da molti anni, nonostante l’elezione di un governo democratico nel 1990. Non vengono riportate le sanzioni imposte da agenzie ONU e organizzazioni non governative, le denuncie sullo sfruttamento della popolazione attraverso lavori forzati. E’ difficile trovare notizie di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace del 1991, e leader del governo eletto democraticamente che ancora oggi è detenuta agli arresti domiciliari.Turismo consapevole vuol dire non scendere a compromessi con la realtà dei fatti, ignorandone la drammaticità. Al contrario la (ri)scoperta di una paese straordinario come la Birmania deve passare per la conoscenza della storia presente, così come del suo glorioso passato.
Info Utili
BIRMANIA
Capitale: YANGON EX RANGOON fino al 2005 , ora è Naypyidaw.Popolazione: 46.900.000
Superficie: 676.577 km2
Fuso orario: +5,30h rispetto all'Italia, +4,30h quando in Italia vige l'ora legale.
Lingue: Birmano, l'inglese è abbastanza diffuso nelle classi medio-alte della popolazione.
Religioni: Buddhista, musulmana, cristiana ed altre.
Contatti
Ambasciata d'Italia a YANGON
3, Inya Myaing Road
Golden Valley
11201 Yangon
Union of Myanmar
Tel.: +95 1 527100/1
Fax: +95 1 514565
Tel.satellitare:
00873 761.888.552
Cellulare di reperibilità del Funzionario di turno:
(+95) (0)9 8032910
E-mail: ambitaly@ambitaly.net.mm
TELEFONI UTILI
Polizia :Tel. 199 - 54.93.09. - 54.92.30 - 54.99.63 (ext. 355)
Pronto Soccorso: Yangon General Hospital
Tel. 25.61.12. - 25.61.31
"SOS INTERNATIONAL CLINIC"
Tel. 66.78.71
Nome completo del paese: Unione di Myanmar
Ordinamento dello stato: Regime militare
Capitale: Naypyidaw è la capitale di Myanmar dal 6 novembre 2005 in sostituzione di Yangon (ex Rangoon)
Documenti: Passaporto con almeno 6 mesi di validità dalla data di uscita dal Myanmar.
Visto: ottenibbile all'arrivo. Necessarie due fototessera recenti e fotocopia del passaporto.
Vaccinazioni: Nessuna obbligatoria. Lingua: Birmano, l'inglese è abbastanza diffuso
Religioni: Buddhista, musulmana, cristiana
Fuso orario: 5:30 ore avanti rispetto all’Italia, che diventano 4:30 quando da noi vige l’ora legale.
Voltaggio: Il voltaggio della corrente è di 220/240 volt, si consiglia di munirsi di adattatori universali.
Valuta: Kyat
Telefono: La rete telefonica locale è obsoleta e spesso i collegamenti con l’interno del Paese sono difficoltosi. Il GSM International Roaming non è attivo nel Paese e tutti i telefoni cellulari provenienti dall’estero sono inutilizzabili. È proibita l’importazione e l’utilizzo di telefoni satellitari.
I costi di una telefonata internazionale sono altissimi. È bene informarsi sulle tariffe prima di effettuare una chiamata internazionale o di inviare un messaggio e-mail.
Il servizio e-mail è disponibile nei maggiori alberghi ed è sotto lo stretto controllo delle autorità governative. L’uso di Internet e l’accesso ai servizi e-mail internazionali è spesso interdetto. La privacy sulle comunicazioni non è garantita. Ultimamente è possibile acquistare ricariche telefoniche al costo di 10 o 20 USD.
NOTA BENE: All’arrivo nel Paese, la dogana può prendere in consegna passaporti, telefoni cellulari e computer portatili dei turisti, per restituirli al termine del loro soggiorno.
Nella Terra dei mille Budda
Meno di un’ora fa ero ancora a Yangon, la capitale del Myanmar, una città di 5 milioni di abitanti che negli anni ’90 non conosceva il traffico automobilistico e adesso comincia già a risentire dei primi ingorghi. Avevo passato tutto il pomeriggio alla Shwedagon, la pagoda più importante del paese, con la grande cupola di oltre 500 metri di diametro ricoperta nei secoli da strati d’oro, tanto che i birmani amano raccontare che ce ne sia più qui che nei forzieri della Banca d’Inghilterra. Tutt’intorno, in un caos apparente di tempietti e piccoli padiglioni, la gente che prega davanti ai Buddha dei quattro punti cardinali e il via vai delle persone alla ricerca del proprio riferimento astrologico. A seconda del giorno della settimana in cui si è nati c’è infatti un diverso simbolo astrale - il topo, la tigre, l’elefante con le zanne e quello senza - su cui versare tanti bicchieri d’acqua quanti sono i propri anni d’età, più uno per propiziarsi lunga vita. In pratica, mentre da noi si celebra il compleanno una sola volta l’anno, qui si può festeggiare ogni settimana. Se durante il giorno lo stupa brilla di luce dorata, verso sera riflette tonalità soffuse che creano un’atmosfera fuori dal tempo. A riportarmi nel presente ci pensa l’ultima follia tecnologica applicata a un paese che ha fatto della religione il fulcro dell’esistenza: le aureole elettroniche con le luci in continuo cambiamento che creano un effetto da discoteca dietro le teste dei Buddha.
Non meno suggestiva della pagoda principale di Yangon è la Roccia d’Oro di Kyaikhtiyo, nello stato Mon, a una giornata di viaggio dalla capitale. Le ombre lunghe del tramonto rendono ancora più evidente l’equilibrio precario del masso scintillante d’oro in bilico sulle rocce tondeggianti, come se si trattasse di un gioco mistico. Qui - al contrario di quanto avviene nella Shwedagon, che è un luogo di adorazione ma anche d’incontro sociale - la gente viene solo per pregare. Ne deriva un’atmosfera raccolta che esalta la spettacolarità del luogo, in cima a una collina circondata da grandi spazi aperti. La salita dei 13 chilometri che portano alla roccia sacra dal «campo base» di Kinpun comporta una corsa di mezz’ora, con saliscendi simili alle montagne russe, seduti sul pianale aperto di un camion strapieno di pellegrini. Poi, solo per gli stranieri, ci sono gli ultimi tre quarti d’ora da fare a piedi su una strada asfaltata, fiancheggiata da bancarelle che vendono souvenir di bambù, tè, frutta e rimedi dell’erboristeria locale. Chi non se la sente può farsi trasportare in portantina.
Dall’aeroporto di Heho, dopo un paio d’ore in auto, arrivo al villaggio di Pindaya e alle sue grotte calcaree che nascondono ben ottomila Buddha: sono in pietra, teak, mattoni, argilla, cemento, ricoperti di lacca, dipinti, dorati. Nel corso dei secoli i devoti hanno ammassato le statue nelle sale e lungo le pareti della caverne naturali formando un intricato labirinto sacro. In un angolo, quasi nascosti da una scultura alta tre metri, ci sono i tre «Buddha sudati», sempre umidi per la condensa che si forma sullo strato di lacca che li ricopre. Passarsi sul viso una goccia di questa rugiada garantisce, dicono, salute e bellezza.
In serata raggiungo il mondo acquatico del Lago Inle, uno specchio di acque basse e limpide lungo 22 chilometri, a 1300 metri sul livello del mare. Qui vivono gli Intha, i «figli del lago», uno dei più intriganti tra i 126 gruppi etnici del Myanmar. Si spostano sull’acqua con strette canoe dal fondo piatto simili a gondole che governano usando un solo remo mosso con la gamba; coltivano insalate e pomodori su orti galleggianti creati con matasse di gigli d’acqua, alghe e fango; lavorano ferro e argento e filano il loto. Rompendo il gambo estraggono un filamento sottile con cui tessono vesti per le immagini sacre o per i monaci. A prezzi da capogiro e in costante aumento: 80 euro per un grammo e mezzo di filo di loto, tredicimila per una veste da monaco.
Il lago è un labirinto di canali dove incrociano lente barche a remi e lance a motore che trasportano turisti lasciandosi dietro solchi orlati di bianco. Dato che i villaggi sono tutti su palafitte, si gira con le canoe anche per fare la spesa. Come a Ywama, uno dei paesini dove, ogni cinque giorni, a rotazione si tiene il mercato. L’arrembaggio delle barche dei venditori di souvenir è soffocante solo all’arrivo, poi chi non ha intenzione di comprare viene lasciato in pace. Vale la pena di fermarsi a vedere i copricapi colorati dei Pa-o e dei Mon delle alture vicine, le canoe piene di fiori da offrire al Buddha, la gente che contratta grandi gallette rotonde di farina di riso e spiedini di piccoli pesci secchi. A una delle estremità del lago c’è il villaggio di Phaung Daw U e la grande pagoda che ospita cinque immagini miracolose che una volta dovevano avere le sembianze dell’Illuminato e oggi assomigliano a birilli, tanto sono ricoperte di strati d’oro. Sul fianco della collina poco sopra mi inoltro in una foresta di stupa per buona parte in rovina. C’è vento e le campanelle votive delle corone dorate (hti) in cima ai tempietti diffondono una musica evanescente.
Ritrovo la stessa atmosfera alcuni giorni dopo a Mrauk-U, la vecchia capitale del potente impero Rakhine,nel Myanmar occidentale, dove arrivo con un trasferimento in barca di sette ore da Sittwe, in epoca coloniale uno dei più importanti porti di scambio con l’India. Mrauk-U potrebbe servire da scenografia per i film di Indiana Jones, immersa com’è nella foresta ai piedi delle montagne dell’Arakan. Del centro cosmopolita dalla cultura variegata ricordato anche da Tolomeo nel II secolo a.C., rimangono adesso le rovine di una settantina tra grandi templi e pagode in parte ancora ricoperti dalla vegetazione. Un’altra Bagan, tutta da esplorare, racchiusa però in uno spazio meno vasto e mosso da colline. Emozionati le visite del Ko-Thaung, il tempio dei «novantamila Buddha seduti sulla collina», dove a grandi statue si alternano file di piccole immagini scolpite nei muri, e della misteriosa Htu-Kan-Thein, la «sala delle ordinazioni», con le due lunghe e buie gallerie concentriche ornate da centinaia di statue dell’Illuminato nella posizione del loto, da cui si accede alla sala centrale ellittica. Qui il sole dell’alba, entrando da una piccola finestra, illumina un grande Buddha di tipo Rakine, con corona e abiti regali.
I turisti che vengono qui sono in aumento, ma per ora rimangono sempre pochi in confronto per esempio alla vicina Thailandia e calore e cortesia sono spontanei, in particolare nelle aree interne e sull’altopiano Shan. Si coglie una consapevolezza profonda delle tradizioni, consapevolezza che rende possibile un contatto sereno con gli stranieri, senza giudizi di valore. Forse è anche per questo che, per quanto spettacolari siano i luoghi e affascinanti i monumenti, al ritorno mi accorgo che sono le persone a dominare la memoria. Inevitabile citare Kipling: «Amo la gente di Burma con tutto il cieco favoritismo che nasce da una prima immediata impressione». Amore a prima vista e senza mezzi termini.
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Navigando da Mandalay a Bagan
Rudyard Kipling si fermò nel Myanmar, che all’epoca si chiamava ancora Burma, per due soli giorni durante la sosta della nave su cui viaggiava. Quanto bastava per riportare con poche righe in rima un insieme unico di sensazioni:
By the old Moulmein Pagoda, lokin’ lazy at the sea,Tra profumi, suoni di gong, ragazze dagli occhi dolcissimi, pagode scintillanti e città con nomi musicali, Road to Mandalay, una delle poesie più belle e conosciute del grande scrittore inglese, rischia di assomigliare a un messaggio della pubblicità moderna. Evoca emozioni e parla di un viaggio verso un posto lontano su una strada che non c’è. Perché in realtà si tratta di una via d’acqua e questo non è poi così strano in un paese dove i monsoni possono trasformare alcune strade in fiumi. Per gli inglesi era l’Irrawaddy; oggi è tornato in uso il vecchio nome di Ayeyarwady. Uno dei più grandi fiumi dell’Asia che, con un percorso di duemila chilometri, dall’Himalaya attraversa tutto il Myanmar fino all’ampio delta nella baia del Bengala, costituendo la principale via di collegamento tra la capitale Yangon (ex Rangoon) e Mandalay.
There’s a Burma girl a-settin’, and I know she thinks o’ me;
For the wind is in the palm-trees, and the temple-bells they say:
«Come you back, you British soldier, come you back to Mandalay!»
Invece dei sei giorni necessari nel secolo scorso per navigare le 600 miglia controcorrente, mi basta un’ora di volo per raggiungere Mandalay da Yangon. In compagnia di alcune coppie americane e svizzere, mi attende la discesa dell’Ayeyarwady fino a Bagan con una crociera di tre notti a bordo di una nave passeggeri lunga un centinaio di metri battezzata con il titolo della poesia di Kipling.
Mandalay, un milione di abitanti, è la seconda città del paese e il punto di scambio con il sempre più importante mercato cinese. Il giro guidato prevede subito i mercati, con mucchi di tè verde inumidito e pressato, spezie colorate, file di piccoli Buddha di bronzo e sandali infradito in infinite tonalità di colore che qui si trovano a prezzo più conveniente rispetto al resto del Myanmar. Si passa poi dagli artigiani che scolpiscono immagini sacre nella giada e nel marmo delle cave vicine e nei laboratori dove battono le lamine d’oro ricavandone fogli sottilissimi per decorare le statue e gli stupa. Nella Mahamuni Paya, la «Pagoda del Grande Saggio», c’è il Buddha seduto di bronzo, alto quattro metri - si dice fuso nel I secolo d.C. - portato qui nel ‘700 da Mrauk U, nell’Arakan, dove era considerato un’immagine-talismano che rendeva invincibili. Nel corso dei secoli, i fedeli l’hanno ricoperto di fogli d’oro che adesso formano uno strato di oltre 20 centimetri. Secondo la tradizione solo agli uomini è consentito avvicinarsi alla piattaforma sopraelevata per applicare le foglie d’oro, acquistando così meriti per le prossime vite. Poco prima del tramonto si arriva all’U Bein Bridge, un ponte pedonale in teak lungo 1200 metri che attraversa il lago Taungthaman. Vecchio di due secoli, è ancora il più lungo del mondo in questo materiale. Vale la pena di affittare per pochi kyat una barca e godersi dall’acqua lo spettacolo del sole che incendia il cielo trasformando passerella e persone in un’articolata silhouette scura.
L’escursione della mattina seguente è a Sagaing, città sacra sulla collina di fronte a Mandalay dove si trovano oltre novecento monasteri e templi buddisti. È un’occasione per farsi un’idea dei ritmi di vita dei monaci: sveglia alle cinque per la preghiera comune, uscita in processione per elemosinare il cibo quotidiano e i soldi per la manutenzione dei templi, piccolo pasto e poi letture e meditazione fino al breve riposo nel pomeriggio. Nuova meditazione e studio delle scritture fino al riposo serale. Colpiscono la tranquillità di questo luogo a poca distanza da una città tanto animata e il sorriso sereno dei religiosi di ogni età: dai tre agli ottanta’anni. Perché ogni birmano di sesso maschile - ma vale sempre di più anche per le donne - è tenuto almeno due volte nella vita a prendere i voti monastici per un periodo che va da un minimo di tre giorni fino a tre mesi e, se vuole, anche per tutta la vita. Formalmente significa rasarsi il capo e ricevere in regalo da qualcuno il «kit da monaco»: tre vesti di color rosso, un rasoio, una tazza, un ombrello e la ciotola delle elemosine.
La crociera avviene lungo un’acqua liscia come l’olio e del colore della terra. Non c’è il traffico frenetico caratteristico di altri grandi fiumi asiatici e anche la corrente pare muoversi con ritmi più tranquilli. Quasi una metafora del Myanmar: sembra quasi fermo rispetto al mondo che lo circonda ma comunque avanza. Fino a Bagan le sponde sono poco popolate. Si vedono alcuni villaggi di pescatori, piccoli ripari temporanei vicino alle rive e vasti campi di riso, il cibo principale per questa popolazione in gran parte vegetariana e la più importante voce ufficiale di esportazione. Per due giorni si naviga guardando questo mondo rurale dal balcone del ponte superiore, dove si può stare in costume a prendere il sole, leggere, chiacchierare o nuotare nella piccola piscina. Al tramonto si accendono piccole luci lungo le rive e arrivano da lontano i canti ritmati dei monaci. Poi col buio è un’esplosione di stelle, mentre il pianoforte della sala da pranzo crea un sottofondo musicale discreto per la cena a lume di candela.
Con una sola immagine, Bagan è la più grande collezione di templi e pagode di tutta l’Asia. In un’area di 42 kmq sulla riva orientale dell’Ayeyarwadi, secondo gli archeologi ci sono tredicimila rovine di ogni dimensione: dal grande Ananda Patho costruito nel 1100, con l’ombrello decorato (hti) in cima alla struttura centrale che supera i 50 metri di altezza, alle piccole pagode a forma di bulbo nascoste tra i campi. Dopo il terremoto del 1975, che danneggiò molti edifici, l’Unesco ha iniziato il restauro e la ricostruzione dei templi, finanziando gli artigiani locali con programmi mirati ancora in corso. Qui è possibile seguire le visite guidate oppure noleggiare un calesse o una bicicletta e girare da soli (se si ha tempo visitare il Nandamannya Patho, piccolo gioiello affrescato fuori dai giri turistici, chiedendo le chiavi al più grande tempio vicino). Un problema singolare può essere il rispetto tassativo della regola di muoversi nei luoghi sacri a piedi nudi: la terra e i frammenti di mattoni sui gradoni delle terrazze o sulle ripide scale interne dei templi in rovina possono dare sensazioni fastidiose se non si è abituati a camminare scalzi.
L’ultima notte a bordo, ancorati nel centro dell’Ayeyarwadi, arriva la sorpresa finale. Dopo cena, la superficie dell’acqua si riempie di migliaia di piccole luci colorate. Sono barchette di bambù con candele usate tradizionalmente nella festa della Luce, a ricordare gli spiriti divini che accompagnarono il Buddha nel suo viaggio nel Tavatimsa. Quelle che vediamo scendere con la corrente formando un fronte luminoso che avanza verso la nave sono state rilasciate dagli abitanti del villaggio vicino, che le hanno confezionate appositamente per noi con un lavoro di giorni. Grazie.
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