Selvagge isole aran - Irlanda
Dicono che sia la parte più selvaggia d'Irlanda. Una roccaforte di valori, cultura e lingua vecchia di cento anni. Gaelica. Nella mia testa è solo un nome, sentito molte volte. Evocante. Isole Aran. Scopro per caso che un'amica che non vedo da tempo è andata a vivere lì, è uno dei pochi estranei che si sono insediati tra gli ottocento abitanti di Inishmore, l'isola principale dell'arcipelago. Nel mio breve viaggio in Irlanda non me la voglio far scappare. E già prima di partire la pregusto guardandomi un documentario che questa amica mi ha consigliato. (questo: dailymotion.alice.it/visited/search/living+aran/video/) Attraversata la nazione, da Dublino siamo a Galway. E da lì il giorno dopo ci dirigiamo al porto da cui salperà la nave per l'inconsueto e il selvaggio. Ci aspetta la bufera. Quella che inonda il finestrino e i tergicristalli non riescono a fermarla nemmeno quei pochi istanti che ti permettono di guardare oltre. Vento. Al porto saliamo sulla piccola nave che in meno di un'ora ci porta all'isola. Il progetto è dormire una notte in un b&b, fare un giro in biciletta, leggere qualche poesia di yeats sulle scogliere. Godersi il niente. Ma se il niente è riempito dalla pioggia non è più affascinante, diventa faticoso. Arriviamo al porto di Inishmore con i maglioni e le cerate con il cappuccio. Deborah, la mia amica, ci aspetta al molo, con la bicletta e i sandali, completamente fradicia di pioggia. "Ma qui sono abituati", e lei con loro. Ci infiliamo in un barettino a bere un caffè e mangiare una fetta di apple pie ai chiodi di garofano. Ci racconta dell'isola, delle sue tradizioni, di perchè la gente lascia quel posto e di perchè molte altre ci arrivano, come lei, che ora lavora in un negozio che vende maglioni ai turisti. I maglioni delle Isole Aran, famosi in tutto il mondo, di lana grossa e bianca, annodati con motivi diversi da famiglia a famiglia, un po' sformati e caldi da morire. Ci andiamo a fare un giro in quel negozio, aspettando che la pioggia ci dia una tregua. Ma niente. Mentre proviamo maglioni, sciarpe e cappelli il rumore dell'acqua che batte sul tetto è continuo. E' il 16 di agosto. Usciamo e abbandoniamo l'idea delle bicilette. Sarebbe inutile e non riusciremmo a goderci niente. Così prendiamo un piccolo bus per turisti che ci fa fare un giro per l'unica strada dell'isola, fino al forte di Dun Aengus, una costruzione semicircolare, risalente allla preistoria, a picco su delle scogliere senza protezione da cui ci sporgiamo pericolosamente, considerando anche il vento e la pioggia. Ma lo spettacolo ne vale la pena. Tutt'attorno ecco i muretti a secco di cui parlano tutte le guide turistiche. Qui, si dice, gli isolani hanno creato la terra: non avendo terreno coltivabile, hanno isolato dei pezzi di scogliera con dei muri a secco (bucati per non farli ababttere dal vento) che trattenessero sabbia, alghe, rifiuti, letame e tutto quello che poteva contenere l'humus delle coltivazioni. Impressionante. Mentre torniamo alla nave, abbandonando l'idea di dormire lì a causa del diluvio, con i piedi zuppi, i pantaloni fradici e le mutande bagnate, sento proprio che mi sto perdendo qualcosa. Sento che il posto ha delle potenzialità di fascino che non mi sono riuscito a godere appieno. Prometto di tornarci, ma probabilmente non accadrà mai. O forse sì. E' in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta, e il vento dell'ovest rideva gentile in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti mi hai preso per mano portandomi via. E in un giorno di pioggia ti rivedrò ancora e potro' consolare i tuoi occhi bagnati. In un giorno di pioggia saremo vicini, balleremo leggeri sull'aria di un Reel. (modena city ramblers)